29 gennaio: San Francesco di Sales
(† 28 dicembre 1622)
Vescovo di Annecy e Dottore della Chiesa
Quest’anno ricorrerà a dicembre l’anniversario dei 400 anni della sua morte.
Figlio di una nobile famiglia della Savoia vicino ad Annecy, studiò a Clermond, Parigi, Padova. Ordinato sacerdote nel 1593, e consacrato Vescovo di Annecy nel 1602, predicò per la conversione dei peccatori e anche dei cattolici che erano diventati calvinisti, ottenendo moltissime conversioni soprattutto nel Chiablese. In questa regione, dopo 11 anni di ministero, prediche, dibattiti pubblici e privati anche con i ministri protestanti, poté constatare, nel 1605 che “al posto di cento cattolici che vi avevo trovato, disse, ora ne ho lasciato solo cento ugonotti”. Sempre a disposizione di chi lo cercava, si occupava dei grandi e bambini, del clero, della visita delle parrocchie. Predicava, scriveva, per spiegare con semplicità che tutti possono giungere alla santità, sia chi è nel mondo sia chi si consacra a Dio: per chi comincia la vita spirituale scrisse “Filotea”; per chi è più avanzato scrisse “Teotimo”. Nel 1610 fondò con Santa Giovanna di Chantal la Visitazione, Ordine femminile che si diffonderà in poco tempo. Morì all’età di 55 anni. Nel 1665 è canonizzato da Alessandro VII; nel 1877 è dichiarato Dottore della Chiesa da Pio IX. Sono sempre attuali queste sue parole: “I protestanti sono dilagati nella nostra Europa, e occupano spazio, anche perché noi cattolici spesso non abbiamo studiato abbastanza per confutarli e smascherare i loro errori. Spesso ci siamo limitati a recitare l’Ufficio e non siamo scesi in campo a impedire le loro opere nefaste. È urgente sapere e approfondire la Verità e annunciarla a tutti coloro che la negano, rispondendo a tutte le loro obiezioni con la parola e con la nostra vita”.
Un episodio della sua vita
Nella primavera del 1606, dopo la missione nel Chiablese e una predica quaresimale a Chambery, tornato ad Annecy trovò la città allarmata per pericoli sovrastanti. Si sparse ben presto la voce che gli abitanti di Ginevra, irritati ormai da molto tempo contro il Duca Carlo Emanuele, poiché aveva bandito il culto protestante dal suo territorio, stavano progettando un’invasione formidabile, e che non ambivano nientemeno che ad impadronirsi di Annecy, farne una roccaforte militare, e di là diffondere la loro falsa religione. Grande tumulto allora in tutta città e grande inquietudine, specialmente a riguardo del santo vescovo, nemico così attivo dell’eresia: molti propendevano perché egli si allontanasse; ma egli rispose tranquillamente: “Voi tremate quando invece non c’è nessun motivo di temere; poiché Dio non permetterà più che i gentili si impadroniscano della sua eredità e profanino il suo santo tempio. Ma se invece dovessero venire, penso con certezza che mi resti ancora abbastanza coraggio da non fuggire alla vista del lupo, e da non abbandonare le mie pecore; ma piuttosto, e perché no? Impugnerò la mia spada, metterò l’elmo e mi mostrerò fedele condottiero del mio popolo. (…) Credetemi, se Dio dovesse permettere che fossimo ancora afflitti da una tale persecuzione, vorrei con le parole e con le opere incoraggiare il mio popolo al combattimento e alla difesa, a non abbandonare l’antica Fede dei loro padri, e soffrirò con tutto il mio cuore tutte le pene, tutte le battaglie, tutti i pericoli; perché è mio dovere di dare la mia vita per le mie pecorelle. Ma, come vi ho detto, Dio avrà misericordia dei suoi, a condizione che noi abbiamo una ferma speranza in Lui, e non lascerà nelle grinfie delle belve le anime che Lo confesseranno”.
Gli abitanti di Ginevra intanto si avvicinarono alla città, una domenica, verso mezzogiorno, e si disposero all’assalto. Si corse ad avvertire il Santo e lo si esortò a sottrarsi alle violenze che avrebbe certamente subito; ma egli, sempre pieno di calma e di confidenza, cercando di infondere anche agli altri la sua tranquillità, affermò nuovamente che non vi era nulla da temere. E in effetti i nemici si ritirarono, senza aver neppure tentato l’attacco, ingannati certamente e messi in fuga dalla falsa notizia che si andava spargendo, che il Duca era sul punto di pubblicare un editto simile all’editto di Nantes. La loro ritirata suscitò la gioia del popolo; ma la causa che l’aveva procurata non poteva non affliggere Francesco, che non appoggiava in alcun modo questa politica di falsa tolleranza, fin troppo elogiata e al contrario ben funesta. La sua longanimità verso il prossimo era senza limiti e sarebbe stato disposto a salvare ogni uomo perseguitato a causa della propria falsa fede; ma dare la libertà di predicare l’errore in un paese cattolico, gli pareva, e a ragione, una funesta mancanza nei confronti della verità. Allo stesso modo egli rifiutava di credere che Carlo Emanuele si sarebbe mai deciso a un tale atto e diceva: “Ahimè! Quale accordo fra Gesù Cristo e Belial? Fra la luce e le tenebre? E da dove vengono mai tanti mali e tante miserie della Francia se non da questa miserabile tolleranza della libertà, peggiore della più dura delle schiavitù? Che gli uomini di stato abbiano pure tutte le ragioni che vogliono, io non ne vedo alcuna. Guai ai principi a causa di questa libertà!” E così dicendo, sospirava soprattutto al pensiero della Francia e del suo re.