Festa di san Giuseppe – Omelia di mons. Guérard des Lauriers

Omelia del 19 marzo 1987 di mons. Guérard des Lauriers

La festa di san Giuseppe ci è molto cara; lui è l’intendente; è quello che è costituito dal buon Dio economo di tutti i suoi beni, e principalmente della Chiesa, che rappresenta in terra il bene per eccellenza, perché essendo la vera Chiesa, ella è fedele alla sua missione che è di custodire il Deposito e l’Oblazione pura.

Festeggiamo dunque insieme san Giuseppe. È con gioia che vengo tra voi per celebrare la Messa in suo onore, domandargli la sua protezione, e che ci confermi nelle difficili decisioni che dobbiamo mantenere.

Peraltro è difficile situare san Giuseppe in rapporto alla Chiesa. Vi ho già messi al corrente di quella questione che rimugino sempre e che non ho risolto. Sapete che la soppressione della festa di san Giuseppe nella terza domenica e il terzo mercoledì dopo Pasqua ha comportato come conseguenza che, oggi, secondo il rito attuale, dovete anche celebrare san Giuseppe come patrono della Chiesa universale. Ne riparleremo. Benché sia stato Pio XII a operare questa trasformazione, credo che in questo caso non sia stato ben ispirato.

Ha lasciato soppiantare la solennità del mercoledì della terza settimana dopo Pasqua dalla festa di san Giuseppe operaio; in modo che il titolo di patrono della Chiesa universale, che era celebrato la terza settimana dopo Pasqua, è stato trasferito alla festa di oggi.

Possiamo comunque considerare questa questione, perché riguarda tutte le feste di san Giuseppe: che ruolo ha esattamente in rapporto alla Chiesa? Sentiamo bene che protettore non è sufficiente; tutti i santi proteggono la Chiesa; che patrono è una parola che ha delle sfumature peggiorative; ed è difficile situarlo. Non ho ancora risolto questa questione, ma al fine di riuscirci vi propongo di considerare le fasi successive attraverso cui la Chiesa è passata.

Cos’è la Chiesa? È esattamente: il Capo della Chiesa, il Verbo Incarnato, più almeno un membro.

Ora è stato proprio così a partire dal momento in cui il Verbo è stato concepito nel seno di Maria. E in quel momento, san Giuseppe era presente, poiché la Concezione della Santa Vergine è stata per Lui occasione del silenzio che già abbiamo celebrato. Egli dunque ha assistito a questa nascita, è stato testimone della Concezione; e, nel momento in cui Gesù è concepito, vi sono lì, con Lui, con il Verbo Incarnato, Maria e san Giuseppe, quest’ultimo annuendo al mistero e onorandolo principalmente con il suo silenzio eroico. Ed ecco costituita la Chiesa, eccola più che in germe, è qui nella sostanza; ciò che viene dopo, gli apostoli, e noi dopo lungo tempo, si aggrega per così dire a questa cellula iniziale. Intravvediamo qui una legge molto importante per la costituzione e lo sviluppo della Chiesa. Tutto, nella Chiesa, si basa su scelte, che esprimono e manifestano la predestinazione. Ora queste scelte sono di tipo aggregativo, e non segregativo.

Chiamo scelta segregativa quella che consiste a rigettare ciò che non si sceglie. Così una massaia che confeziona una torta, prende un paniere di mele, e rigetta quelle marce. È una scelta di tipo segregativo: si trattiene ciò che è buono, del resto non ci si occupa. Nella Chiesa non è così. Dapprima è Israele che è scelto, è vero, ma la prevaricazione d’Israele ha comportato che anche altri sono scelti.

E per la situazione del Papa in rapporto all’episcopato, quest’osservazione ha ugualmente una grandissima portata; non si deve concepire la priorità del vicario di Cristo a partire dagli altri vescovi. Il vescovo di Roma è certo “primum inter pares”. Ma, in realtà, il suo “primato” viene dall’Alto. È Gesù che costituisce il Papa come suo vicario, avente giurisdizione plenaria su tutta la Chiesa; e inoltre il Papa si associa, per reggere la tal diocesi, la persona che sarà vescovo di quella diocesi. Si capisce molto bene così che, in una stessa diocesi, ci sono due veri vescovi: principalmente il Papa e secondariamente il vescovo associato al Papa, quello che il Papa si associa proprio per reggere quella diocesi.

Dunque tutto nella Chiesa si basa su una scelta aggregativa. Anche nella storia della Chiesa è così; la cellula ecclesiale originale è Gesù, Maria, Giuseppe; e questa cellula si è sviluppata, è sbocciata. Evidentemente delle strutture di ordine sociale e giuridico si sono innestate su questa cellula iniziale, che è di tipo famigliare, ma è la stessa legge dello sviluppo che è conservata intrinsecamente nella Chiesa. Vi è qui un dettaglio di grande portata. Noi contempliamo l’ordine delle cose divine. Le cose di Dio poggiano su principi che, in assoluto, rimangono immutabili, benché le condizioni della loro applicazione siano indefinitamente varie secondo le circostanze.

Quindi questa cellula è costituita. Poi conosciamo la storia di san Giuseppe. Si può dire che è la Chiesa, la Chiesa peregrinante, o la Chiesa in stato di avventura: la fuga in Egitto, il ritorno, eccetera. Chi è il capo di questa Chiesa? Se consideriamo l’aspetto visibile delle cose, il capo della Santa Famiglia è san Giuseppe, è sempre a lui che l’Angelo parla. “Non temere di prendere Maria tua sposa”… “Prendi il bambino e sua madre”… “Quelli che volevano nuocere alla sua vita sono morti”. È sempre a san Giuseppe che s’indirizza il discorso celeste.

Se dunque guardiamo le cose dal punto di vista visibile, è san Giuseppe il principale. È il capo della Chiesa. Nella stessa maniera che il vicario di Gesù Cristo è attualmente, o dovrebbe essere, il capo della Chiesa militante, così san Giuseppe è stato il capo della Santa Famiglia, che era la sola cellula della Chiesa iniziale. Voi direte che evidentemente il capo è Cristo. Sì. Ma tuttavia, se guardiamo e oggi insisto, le cose dal punto di vista visibile, di ciò che si vede esteriormente, il capo non era Gesù, era Giuseppe; vedete, nel Vangelo che leggiamo per le feste della S. Vergine e di S. Giuseppe, quando Gesù ritorna a Nazareth dopo l’incidente del tempio, quando Gesù è ritrovato tra i dottori, ci viene detto: “erat subditus”, era loro sottomesso. Dunque la Chiesa, quella di Betlemme, quella della fuga in Egitto o quella di Nazareth, fino a che Gesù esca dal suo focolare per procedere alla fondazione della Chiesa quale l’intendiamo attualmente, fino a quel tempo, Gesù è stato sottomesso, “erat subditus”, e il principale era san Giuseppe. E possiamo dare alla parola principale le sue due valenze: il principale come il capo; e anche il carpentiere, che insegnava a Gesù stesso il mestiere che Gesù esercitava.

E se ci spingiamo un po’ più in là, vediamo bene che qui ci sono, in questa cellula di Nazareth, delle componenti essenziali di tutta la Chiesa, di tutta la missione. Cosa dice Gesù agli apostoli? “Andate, insegnate, battezzate, educate” eccetera. Ebbene, chi ha insegnato a Gesù? Maria e Giuseppe. Gesù non è stato battezzato da loro; tuttavia, la circoncisione e l’iniziazione di Gesù alla legge è ben stata fatta da Maria e Giuseppe. Tutti gli anni, il vangelo lo sottolinea, salivano al Tempio, e in occasione di uno o dell’altro di questi pellegrinaggi, il dodicesimo, Gesù rimane al tempio. Questo significa che l’insegnamento e l’educazione ebbero il loro ruolo. Gesù, è vero, non li ha ricevuti come venuti dall’esterno in rapporto a sé stesso; ha scoperto in Sè ciò che portava in Sè stesso, nell’occasione dell’insegnamento che gli era stato dato da Maria e Giuseppe. La sua scienza infusa superava evidentemente ogni insegnamento che poteva giungergli dall’esterno. Ma tuttavia ha voluto che, perlomeno, Maria e Giuseppe fossero l’occasione di scoprire Lui stesso ciò che già portava in Sè; e quindi gli hanno davvero insegnato. Gesù ha ricevuto questo insegnamento. E, paradosso, possiamo considerare che in questa chiesa originale, colui che era il capo e dunque il vicario di Gesù Cristo visibile, era san Giuseppe; quella che esercitava la missione per eccellenza di educare, insegnare, e vegliare all’iniziazione di Gesù ai riti dell’antica legge era Maria; e i fedeli, erano Gesù: “Erat subditus”; anche noi, in diritto, dobbiamo essere sottomessi alla Chiesa, beninteso quando è la vera Chiesa.

Dunque abbiamo questo grande conforto, in questi tempi così difficili e turbinosi, così caotici per noi, nel contemplare la cellula originale della Chiesa, in cui tutto è in ordine. È per così dire, detto in parola sapiente che sapete comprendere, il paradigma della Chiesa. Il paradigma cioè il modello in sé, il modello spinto al suo punto di perfezione. Ebbene questo paradigma è la santa Famiglia e vi troviamo tutti gli elementi della Chiesa.

Se guardiamo oltre in rapporto alla psicologia del Verbo Incarnato, si può dire che Gesù è stato educato, è vero. Cos’è l’educazione? È difficile da analizzare. La si sente tuttavia quando si parla di persone mal educate, mal cresciute; di padri o figli che non hanno ricevuto educazione, che sono rozzi. Sappiamo bene inoltre che il livello sociale esteriore non ha un rapporto diretto con l’educazione. Troviamo persone in condizioni socialmente modeste, e che sono perfettamente educate; cioè che, spontaneamente, aggiustano i comportamenti più famigliari alla delicatezza di cuore e dei sentimenti. Invece vi sono persone cosiddette altolocate, che si comportano come delle canaglie e degli zoticoni, è ben noto. Ora l’educazione (educere, fare uscire), fare uscire da quest’uomo in potenza un uomo compiuto, questo compito di educazione è Maria che l’ha svolto, per Gesù… mistero. Facciamo un altro passo. Educare il figlio, è prepararlo alla vita: di cosa aveva soprattutto bisogno Gesù per la sua missione? Aveva bisogno di una rinuncia; che ci sfugge. Già più volte l’abbiamo detto insieme: lo stato normale di Gesù era quello della trasfigurazione. Invece sceglieva di restare in uno stato diminuito, di essere privato di questo diritto che gli apparteneva. Chi glielo ha insegnato? È stata Maria. Lei aveva l’umanità come noi. Infinitamente più pura, e quindi nucleo di un grande splendore. Ma in fin dei conti, lei non doveva avere lo splendore del Verbo incarnato. Lei dunque ha insegnato a Gesù col suo comportamento abituale e il suo tatto materno. È ben difficile trovare le parole giuste, tanto si ha paura di urtare in qualche modo il mistero. Gesù forse avrebbe avuto l’inclinazione di mostrarsi sempre in maniera gloriosa; ed è quello che il demonio gli propone nel deserto, al tempo della tentazione: lasciare libera per così dire la sua onnipotenza divina, e Gesù deve rifiutare. Rifiuta perché lo vuole, certo! Ma senza dubbio anche perché è stato educato da Maria. L’abitudine il cui gioco spontaneo reagisce correttamente al momento della tentazione, Gesù ha voluto riceverlo primordialmente per Maria, a partire da Maria che l’ha educato. In poche parole, vedete che la S. Vergine ha istruito Gesù, lei ha educato Gesù, al senso spontaneo della rinuncia che lo preparava al sacrificio della Croce. È questa la sostanza dell’educazione che Gesù ha ricevuto da Maria.

Ma non è poco. I direttori di seminario, i responsabili di istituti religiosi, conoscono molto bene le differenze tra un giovane, un bambino che ha certamente la vocazione, ma è vissuto in un ambiente pagano, ostile, ed un giovane che è vissuto in una famiglia cristiana. Quest’ultimo ha spontaneamente dei riflessi che gli fanno scegliere ciò che è più riservato. Vi è una sorta di discrezione acquisita, che è la base della discrezione infusa, che viene dall’alto. E questo fa una grande differenza per quelli che hanno il compito di educare chierici e persone consacrate. Fa una grande differenza avere a che fare con una persona che ha già subito l’assorbimento di un ambiente cristiano, o con qualcuno che, malgrado la sua buona volontà, fa parte di un ambiente ostile. È un’esperienza banale, per così dire. Gesù era Dio. Certo, questo conta più di tutto. Tuttavia ha voluto essere educato da Maria, e ricevere da questa familiarità con una creatura, la rinuncia infusa che portava in sé; ha voluto riceverla in maniera acquisita, modellandosi per così dire sulla virtù e il comportamento della sua santissima Madre.

E così vediamo nella Santa Famiglia, questa cellula originale della Chiesa, vediamo bene che vi fu educazione nel senso più profondo del termine. Gesù è stato educato; era il figlio, era il membro della Chiesa che noi dobbiamo diventare; si è lasciato educare da Maria, cioè ha voluto che il suo disegno di passare per la croce fosse implementato nella sua sua Persona, nella sua Umanità, dall’educazione che riceveva da Maria. E Giuseppe era lì, Capo, presidiava, sanzionava tutto, approvava e rendeva possibile questo commercio intimo tra Maria e Gesù. Se non fosse stato là a provvedere ai bisogni quotidiani, organizzare la casa, eccetera, ogni contingenza che Gesù e Maria hanno voluto subire, se san Giuseppe non ci fosse stato la cosa sarebbe stata impossibile. Quindi non era una specie di quinta ruota. No, fa essenzialmente parte di questa cellula originale di Chiesa che, ripeto, è stata costituita dal momento in cui Gesù è stato concepito, e concepito per Maria, e concepito in presenza di Giuseppe e a prezzo del silenzio di Giuseppe.

La Chiea in seguito si è sviluppata, a volte è retrocessa; ma, lo diciamo subito, essa ha sempre conservato la stessa economia. La successione delle generazioni, lo sviluppo sul pianeta, l’aggregazione delle diverse parti con l’evangelizzazione, tutto questo esisteva già quando la Chiesa si è costituita. E possiamo intuire che la Chiesa della Pentecoste in fondo è la Chiesa di Nazareth, ma estesa e sviluppata; estesa a altre persone, ad altri principi di ordine sociale. Ma i principi fondamentali permangono; l’essenziale della scelta primordiale persiste: Gesù, Maria, Giuseppe, questo basta per fare la Chiesa. Noi non siamo di troppo, perché Gesù ci ama e ci ha scelto, in una scelta aggregativa che completa la scelta primitiva, e che rispetta la primordialità di questa scelta: scelta che resterà sempre la prima, qualunque sia la grandezza di chiunque verrà dopo.

Si, la scelta primordiale, primitiva, si è portata su Maria e su Giuseppe. Da qui la grandezza di san Giuseppe. E da qui anche l’utile spiegazione di una parola misteriosa. Il mistero si chiarisce sempre con delle domande. Gesù ha detto nel Vangelo: “nessuno fra i figli di donna è più grande di san Giovanni Battista”. E san Giuseppe? È più grande di san Giovanni Battista o no? Altra domanda, connessa a quelle che poniamo. Domanda imbarazzante, e non vi proporrò una risposta ex cathedra, visto che non ho l’autorità per dirimerla. Tuttavia si può dire questo: san Giuseppe, secondo quello che abbiamo visto, si situa per così dire, come precursore dei papi, il precursore dei vicari di Gesù Cristo; in un certo senso è il primo vicario di Gesù Cristo, ma il suo privilegio è stato di avere una specie di potere di giurisdizione plenaria, non solo sulla Chiesa, ma su Cristo stesso fondatore della Chiesa. Gesù ha voluto che fosse così. E, in questo senso, san Giuseppe da una parte è minore di san Giovanni Battista perché questi fu precursore di Cristo, mentre san Giuseppe lo fu solo del capo visibile della Chiesa. Ma dall’altra parte san Giuseppe ha, direttamente su Cristo, una giurisdizione che san Giovanni Battista non ebbe.

Così si può delineare il bel dittico che è la comparazione tra san Giuseppe e san Giovanni Battista; sono ciascuno il più grande, ma da un certo punto di vista. Ecco dunque, miei cari fratelli, ciò che possiamo dire, che discorso si può fare a proposito di san Giuseppe. Vedete attualmente questa Chiesa militante di cui facciamo parte, di cui ci gloriamo di far parte dal nostro battesimo. Siamo d’accordo nella conoscenza della sua situazione, concordiamo che noi non abbiamo più un capo, né il modo di ottenerlo; non possiamo più dirigere il nostro sguardo verso qualcuno che sia nostro appoggio. Dobbiamo fare con quello che abbiamo, nella solitudine. Però abbiamo, in assenza della “chiesa” di Roma che è attualmente fiacca ed è in attesa, abbiamo la Chiesa di Nazareth. Rivolgiamoci a lei. Questa Chiesa di Nazareth esiste in Cielo, e la ternarietà, la trilogia Gesù, Maria, Giuseppe non è abolita dalla fondazione della Chiesa. Al contrario essa è vivente, sempre viva e sussistente nella Chiesa. E dunque guardando a qualcosa che non è solo il passato, ma che è il perpetuo presente, cioè Gesù, Maria, Giuseppe, la Chiesa, la Chiesa originale e la Chiesa di sempre, poichè essa resta il fondamento, il fondamento vivente della Chiesa tale quale è costituita ora e fino alla fine di questo tempo, noi non abbandoniamo la Chiesa fondata a Roma.

 Preghiamo dunque insieme san Giuseppe; e domandiamogli che affretti la soluzione, col suo silenzio, e per il silenzio che ci impone. Il silenzio che ci impone nel senso che le questioni più difficili che s’impongono per noi restano senza risposta. Perché alla fine, grazie a chi, e come può essere risolta la crisi? Appare sempre più chiaro che non potrà essere che per intervento diretto del Cielo. La soluzione, possibile per le vie solo canoniche normali, si rivela sempre più impossibile e impraticabile.

 Ora, l’intervento del Cielo richiede l’integralità della scelta. Non si può presumere che Dio verrà in soccorso di quelli che non confessano la verità in tutta la sua esigenza e fino in fondo. San Giuseppe, col suo silenzio, è andato fino al fondo della verità crocifiggente che gli era imposta. Imitiamolo, entriamo nella sua psicologia. Dobbiamo allora, in assenza della “chiesa” di Roma che non offre più la figura di Cristo, in assenza del vicario di Gesù Cristo che rifletta precisamente l’autorità e la potenza di Cristo, in assenza dobbiamo volgere i nostri sguardi verso la Chiesa di Nazareth, di cui san Giuseppe è stato il capo in un certo modo. E certo, se completiamo questa prospettiva umana cioè che la Chiesa è visibile, con l’altra prospettiva, cioè che la Chiesa discende dal Cielo, dobbiamo dire che il capo della Santa Famiglia è Gesù. Ma Maria e Giuseppe non fanno parte di questa famiglia che per relazionalità a Gesù. È l’aspetto più profondo del mistero, certamente.

Ma colui che evochiamo oggi, per quanto secondo sia in rapporto all’aspetto essenziale, non è trascurabile. È un dato importante, perché noi ci innestiamo in questa prospettiva, perché facciamo parte della Chiesa militante visibile, che è una società visibile. E questa visibilità verte primordialmente sull’apostolicità che presenta oggi tante difficoltà. Essa è, in fondo, la pietra d’inciampo per mons. Lefebvre; perché non ha capito che la visibilità non è una nota. La nota è l’apostolicità; in modo che, finché rimane alla Chiesa la possibilità di riprendersi, e di dedicarsi alla riunione di un conclave, l’apostolicità perdura in potenza. L’apostolicità sarebbe recisa se dicessimo che il seggio è vacante, e che può rimanere tale indefinitamente. Questo è impossibile; perché la Chiesa è apostolica, e deve rimanerlo.

Rimaniamo dunque in attesa di ciò che Dio farà e per consolarci in quest’attesa, per riconfortare la nostra fede, volgiamo i nostri sguardi al passato, per essere istruiti della natura delle cose, e verso il presente, poiché Gesù, Maria e Giuseppe, vivono in cielo e vegliano eternamente. Amen.