Come muore un uomo di Dio

(Estratto da Sodalitium n° 18 di novembre-dicembre 1988)

di don Giuseppe Murro

Non possiamo mai ringraziare abbastanza il Signore per le grazie che ci elargisce; ma il favore che la divina Provvidenza mi ha concesso, di poter assistere spiritualmente Mons. Guérard des Lauriers per 45 giorni durante il suo soggiorno in ospedale, è tale che più chiaramente si avverte la propria indegnità davanti a dei benefici così profondi.

Mons. Guérard entrato all’ospedale di Cosne sur Loire il 10 gennaio di quest’anno [1988], vi morirà il 27 febbraio.

La malattia

Mons. Guérard soffriva di disturbi al fegato tali che l’obbligavano ad osservare una dieta particolare. Nell’ottobre scorso i disturbi cominciarono ad aggravarsi, la notte non riusciva quasi più a dormire, sovente aveva delle crisi che lo lasciavano privo di forze. La nutrizione diventava sempre più difficile perché il suo stomaco non riusciva ad assimilare il cibo, finché il 10 gennaio si vedeva costretto ad entrare in ospedale.

Alimentato unicamente per mezzo di flebo era in uno stato di estrema debolezza; spesso trascorreva le notti tra crisi terribili, soggetto a scosse muscolari che agitavano tutto il corpo. In genere al mattino presto riusciva a riposarsi. Durante la giornata il dolore al fegato continuava a farsi sentire, talvolta in maniera acuta, a meno che non fosse disteso sul fianco: ma il restare a lungo sulla stessa posizione gli causava delle piaghe, per cui era necessario che si spostasse con il conseguente ritorno del dolore al fegato.

I risultati delle analisi rilevavano la presenza di un tumore al colon sigmoideo, con metastasi al fegato e probabilmente ad un rene: dato lo stato avanzato della malattia, in specie il fegato era completamente preso tanto da non svolgere più nessuna funzione, non era ormai più possibile tentare qualsiasi trattamento.

Poiché non ingeriva più nulla, le secrezioni dell’intestino gli provocavano una continua salivazione la quale l’ostacolava di parlare distintamente. In più, arrivato in ospedale la tarda sera del 10 gennaio, fu messo in una camera ancora fredda, cosa che gli procurò una bronchite.

“Quando soffro meno – diceva Monsignore durante i primi giorni della degenza – credo che potrò scrivere un po’, ma appena tento con i primi gesti di farlo, sono inchiodato”. (1) Eppure Monsignore non ha esitato a scrivere lettere e documenti quando lo riteneva necessario.

Verso la fine di gennaio e gli inizi di febbraio si era ripreso rispetto allo stato iniziale, al punto che aveva potuto alzarsi dal letto, fare qualche passo nella camera e restare seduto delle ore durante il giorno. Ma in seguito la malattia ha ripreso il sopravvento, la debolezza è aumentata, il corpo ha iniziato a sentire la stanchezza di una prova così lunga, che si sarebbe conclusa prima se la fibra di Monsignore non fosse stata così forte, da opporre al male una resistenza durevole.

Non è di tutti i giorni vedere un religioso prepararsi per ben morire tra le sofferenze della malattia; è ancor più raro vedere un teologo che ha data la risposta ai problemi più difficili, continuare la ricerca speculativa nei momenti che precedono la morte; ma è rarissimo vedere – e direi contemplare – un uomo di Dio che si prepara a lasciare questa terra per incontrare il suo Creatore.

Il Religioso

Mons. Guérard ha dato esempio di religioso. Sempre nel letto di ospedale aveva il suo rosario tra le dita, spesso invitava i suoi visitatori a recitare qualche orazione insieme; si raccomandava a tutti di pregare per lui per restare fedele al compimento della volontà di Dio.

Fin dai primi giorni dell’ospedalizzazione, non ha esitato a chiedere perdono per i suoi mancamenti: “vi domando perdono per le mie impazienze, dei mancamenti d’edificazione che sono potuto essere per voi, ma ora almeno faccio tutto quello che posso”. Il 12 gennaio volle fare una confessione generale.

Pensava al bene delle anime: più volte diceva di offrire tutto per la Chiesa, per il nostro Istituto, per i fedeli: “per quanto posso formare un’intenzione: è per voi, per la vostra opera, per il seminario di Orio, perché voi diveniate dei missionari di Maria, secondo il disegno che ha espresso così bene San Luigi M. Grignon de Montfort”.

Agiva per il bene delle anime: a chiunque gli parlasse di qualsiasi argomento, non ometteva mai di dire almeno una parola, una frase, necessaria per il suo bene spirituale. Si può dire che la sofferenza gli desse una luce speciale capace di comprendere lo stato dell’anima delle persone che ravvicinavano. Dai dottori agli infermieri, con tutti cercava di fare il suo dovere di religioso, cercare la salvezza delle loro anime.

A tutti i conoscenti che lo visitavano, non parlava a lungo: ma ciò che diceva proveniva realmente dall’abbondanza del cuore, non erano parole di convenienza, ma parole destinate a restare nell’animo di chi le ascoltava. Ed a tutti raccomandava di restar fedeli “usque ad mortem”, fino alla morte, nonostante prove e persecuzioni che potranno arrivare.

Il Teologo

Mons. Guérard ha insegnato durante tutta la sua vita; sul suo letto d’ospedale ci ha dato forse il migliore insegnamento perché rivolto direttamente alla salvezza delle anime. «La preghiera che faccio quasi costantemente: “O mio Salvatore diletto, che il mio corpo per morire condivida la tua Agonia nell’infinito desiderio”. Ritrovo sempre una nuova profondità per ciascuna di queste parole, partecipare all’agonia di Gesù è una cosa talmente immensa, senza misura, che non si è mai finito di approfondirla. Allora, questo lo sto vivendo e lo sto scoprendo, per così dire».

È noto che ha conservato la lucidità quasi fino alla fine, con gran meraviglia dei medici e infermieri; e nonostante la debolezza e la stanchezza ha continuato a penetrare nella verità per varie questioni. Sia argomenti di ordine dottrinale, dando la risposta a visitatori, a sacerdoti, per chiarire, spiegare, approfondire certi aspetti della tesi di Cassiciacum. Sia argomenti di ordine pastorale: ricordo ancora come, seduto sulla poltrona della sua camera in ospedale, illustrava a Don Ricossa e a me, la situazione delle persone che mancano di fervore, perdono il desiderio di abbracciare la verità tutta intera, e si lasciano andare, si fermano su posizioni meno esigenti, più comode. Quante persone, anche sacerdoti, cercano il numero, ma non la verità: per mantenere una più gran quantità di “fedeli”, devono tacere certe cose, tradiscono l’integrità della verità. Non bisogna meravigliarsi, aggiungeva, perché sarà sempre così; ma costoro che mescolano verità ed errore non sono destinati a durare: come in natura gli ibridi non si riproducono, così questi non potranno continuare a lungo in tale maniera: o si schierano da un lato o dall’altro.

“Accettare un compromesso, anche per un fine che sarebbe buono, è un errore alla radice; non è questo che ha fatto Gesù, soprattutto per morire. Dunque non bisogna assolutamente far questo. Tanto peggio, voi resterete un piccolo gruppo”.

Monsignore non ha mancato di darci consigli, con gran delicatezza, per il nostro ministero, col suggerirci di non essere soltanto missionari, ma anche pastori delle anime che il Signore ci affida: “l’intuizione di S. Luigi M. Grignon de Montfort bisogna realizzarla, cosa che già fate. Ma andate più lontano nella comunicazione della verità. Vi chiedo perdono: invece di divenire più missionari che pastori, che la vostra funzione di missionari prolunghi quella di pastori. Cosa che è difficile, ma credo che il buon Dio vi dia la luce, la forza e l’amore per compiere questo compito: una volta che qualcuno avrà compreso, molti verranno”.

L’Uomo di Dio

Mons. Guérard entrò in ospedale quando già non riusciva ad assimilare più nulla per via orale, neanche un cucchiaino d’acqua. L’unico cibo che però ha potuto assumere tutti i giorni è stata la Santa Comunione. Viveva per l’Eucarestia, era la sua unica gioia, che trasmetteva anche agli altri. Dopo essersi comunicato faceva un lungo ringraziamento, durante il quale si vedeva sensibilmente la sua anima riempirsi soprannaturalmente e talvolta rendeva partecipi i presenti di ciò che aveva meditato e scoperto. Non ometteva mai di ringraziare chi gli portava la S. Comunione: “È il viatico, che dà la misura di ogni cosa, il desiderio, l’infinito desiderio, la partecipazione all’agonia e la penetrazione della misura infinita dell’agonia di Gesù. È la Comunione che assegna la misura di Croce che devo portare per questo giorno”.

Monsignore non ha rifiutato la Croce che il Signore gli ha inviata: l’ha accettata con abbandono totale in unione alle pene sofferte da Nostro Signore durante la sua Passione. “È il grado che conta. Il grado nell’agonia, il grado nell’abbandono, il grado nel desiderio. Ho desiderato la Croce. È ben questa la legge dell’Amore. Quando ci si è, è meno facile di quanto si potesse credere. Ma la grazia del buon Dio è là. Noi abbiamo dei generosi desideri, ma quando bisogna compierli è più difficile”.

Monsignore non ha nascosto la lotta interiore che attraversava: a tutti domandava preghiere “perché sia fedele, perché resti nell’abbandono”. Raramente si lamentava, ma il volto lasciava intravedere lo sforzo della prova.

Qualcuno penserà: in tante sofferenze fisiche, la presenza del Signore l’avrà consolato, l’avrà compensato del dolore del corpo. Mons. Guérard ha bevuto fino in fondo al calice amaro della Passione, avendo – all’imitazione del nostro Salvatore – la desolazione spirituale, l’assenza di quelle grazie sensibili che il Signore ci dà per sollevarci dalle pene quotidiane. Gesù sembrava abbandonare l’anima, taceva: “è un gran silenzio. È la Fede, la pura fede: in modo che resto aperto all’una come all’altra: ad una guarigione miracolosa, o alla morte”.

«Talvolta ridico a Gesù la preghiera: “Signore figlio di David, abbiate pietà di noi”. E Gesù ha risposto: “Volo Mundare”. “Lo voglio. Sii guarito”. Gesù può guarirmi quando viene. Gli indirizzo questa preghiera, rimettendomi molto umilmente alla sua Santissima Volontà”. “È l’abbandono: o Gesù vuole che guarisca o che muoia”».

Ma in tante tribolazioni, Monsignore non ha mai ceduto a movimenti di rilassamento né di disperazione: «Ripeto sovente: “Non recuso laborem, non rifiuto il lavoro”, se il buon Dio mi lascia sulla terra. Credo di poter dire: Sono veramente nell’indifferenza completa. Ch’Egli usi di me come vuole. Tutto quello che vuole».

Tutte le sue azioni sono state soprannaturali. Anche nei momenti di più grande sofferenza, volgeva lo sguardo verso le immagini, riunite come in un trittico, dei Santi protettori del suo Ordine: S. Domenico, S. Tommaso d’Aquino, S. Caterina.

Quando riceveva la Santa Comunione, era un esempio di devozione e di pietà, per il suo raccoglimento interiore e la fede che trasparivano in tutti i suoi gesti. Che la sua anima fosse pura e ricevesse dei lumi particolari, lo si vedeva nei suoi occhi: limpidi, di una chiarezza straordinaria, sembravano immersi nella visione di cose celesti, nel possedimento e nella contemplazione della verità, tanto che tutto il suo volto sembrava irradiato di questa luce e la trasmetteva a chiunque potesse vederlo.

Molti venivano a visitarlo, sovente per trovare una consolazione presso di lui: Monsignore li ascoltava, certe volte dava brevi risposte, il più delle volte taceva, ma elargiva in riconoscenza della visita un sorriso così luminoso che riempiva l’anima di chi lo riceveva.

Quando parlava di qualcosa, andava fino in fondo all’argomento trattato con uno sforzo generoso che l’affaticava, per cui i suoi intimi conoscenti rinunciavano a porre domande per non dargli delle prove supplementari. Allora le visite si svolgevano in silenzio non vuoto ma più espressivo di tante parole.

La Fine

Durante la seconda metà di febbraio, lo stato di malattia aveva continuato ad aggravarsi: trascorreva le notti nell’angoscia e nelle convulsioni, e di giorno era sfinito per la stanchezza e la debolezza.

Dopo una notte in cui si era sentito particolarmente male, volle fare una seconda volta la confessione generale: benché non lo dicesse, aveva capito che non si sarebbe più alzato dal letto. Il volto era smagrito e la testa, che abitualmente teneva inclinata per diminuire il dolore, adesso non riusciva più a sollevarla da solo.

Il martedì 23 febbraio ricevette la S. Comunione sotto forma di Viatico, cosa che lo consolò molto. Nei due giorni successivi riuscirà a prendere solo un frammento di ostia.

Da molti mesi Monsignore soffriva di una amarezza, di cui aveva chiesto al Signore di essere liberato. Ciò avvenne il giovedì 25 febbraio, mattina di gran consolazione tanto che ne parlò ai presenti: “la Santa Vergine ha tolto l’amarezza, ed ha tolto pure l’angoscia … Per me è un segno della sua sollecitudine materna. È una grande grazia di serenità. Soffro molto, ed è nella pace della volontà del buon Dio che essa si deve compiere interamente in me. Non ho che da proseguire nella via che il buon Dio mi ha così tracciato che, certo, è dolorosissima ma che risponde a tutte le condizioni che ho presentito doversi realizzare. Ecco l’essenziale di ciò che volevo dirvi stamattina perché è un grande avvenimento nella mia vita e che vi rassicura nella convinzione della verità. Misericordiam Domini in aeternum cantabo. Vi domando allora di non essere nella tristezza ma nel ringraziamento e la gioia.

Perseverate con ardore, entusiasmo. Non potevo avere un segno più grande, data la situazione. Vorrei che questa novità sia consolazione ed incoraggiamento a perseverare nella stessa gioia, nella stessa certezza, nella stessa Fede. Soffro ancora molto, ma è il programma: che Dio ci conservi in questa grazia, perché è fragile. Dio può ritirarla se ci inorgogliamo del favore ricevuto, ma spero che l’umiltà ci preserverà da questo pericolo e da questo errore”.

Qualche momento dopo Monsignore chiese se fosse sabato: saputo che era giovedì, rimase rattristato perché dovevano trascorrere ancora due giorni. Aveva presentito che avrebbe lasciato la terra nel giorno dedicato alla S. Vergine? Fu questa l’impressione dei presenti. Aspettava una visita nel pomeriggio: chiese di far venire al più presto questa persona, prima dell’ora prevista: ciò non fu possibile; Monsignore dalle prime ore del pomeriggio di quel giovedì, a causa della debolezza non potrà più parlare, nonostante si sforzasse, e così non potrà rivolgere la parola alla persona che attendeva.

Il venerdì 26 febbraio, per la prima volta, non potè ricevere la S. Comunione: non riusciva ad aprire la bocca, ed i presenti invano cercarono di aiutarlo, le mascelle erano serrate. Monsignore pianse rendendosi conto di dover fare l’estremo sacrificio, rinunciare a ciò che gli era rimasto di più caro su questa terra, Gesù sacramentato.

Allora chiuse gli occhi, entrando in una solitudine dove nessuno poteva accedere.

Quando lo si chiamava, a stento apriva gli occhi, ma non vi era più nessuna reazione nelle sue membra. La respirazione era difficile a causa di un’altra bronchite, il catarro rischiava di soffocarlo, e di tanto in tanto gli infermieri dovevano fargli delle sonde nasali, che erano dolorose.

Nel vederlo, veniva da pensare all’Uomo dei dolori, N. Signore sofferente durante la Passione, dalla sommità del corpo fino alla pianta dei piedi tutto era nella sofferenza: al naso la sonda, al collo il flebo, alle braccia le vene ferite dalle flebo precedenti, l’apparato digerente era l’epicentro delle pene, i polmoni ingombrati dal catarro, i fianchi e le gambe piagate, una sonda urinaria, i piedi infiammati.

I presenti, dopo aver recitato le orazioni per gli agonizzanti, restarono al suo capezzale in preghiera.

Alle 3 circa del mattino di sabato 27 febbraio, d’improvviso la respirazione si fece tranquilla, come se non avesse più il fastidio del catarro e, mentre i presenti recitavano le preghiere per il trapasso dell’anima, la sua anima se ne andava verso il Signore: erano le 3,10 del mattino. Cessata la sofferenza, tutte le membra di questo corpo esausto sembrarono trovare un po’ di riposo ed il volto sembrò assumere un’espressione più tranquilla. Monsignore aveva finito di soffrire.

Non è stato trovato uno simile a lui, che custodisse la legge del Signore

Monsignore ebbe sempre una tenera devozione alla Santa Vergine. Adesso che non è più là, adesso che proviamo il dolore per la sua morte, adesso che avvertiamo la sua mancanza, adesso che ci sentiamo spinti a piangere lacrime di dolore, come degli orfani che hanno perduto il loro padre, anche per questi momenti Monsignore ha pensato a noi: ci ha lasciato ancora il conforto delle sue parole, ci ha lasciato la sua devozione alla Santa Vergine, all’“Inviolata”.

“Vi sono due nomi: ‘Immacolata Concezione’, ‘Fulgida Coeli Porta’: ma è la stessa sublime realtà, quasi divina, della nostra Madre che noi adoriamo come effetto della Saggezza del buon Dio. Se vi saranno per voi delle ore dolorose, a causa di tutto ciò che accadrà che sia il vostro cantico interiore: ‘Inviolata’, poi ‘Fulgida Coeli Porta’. Che questo ritornello del Cielo vi liberi dalle tristezze della terra. Che questo canto canti nel vostro cuore e vi incanti. Occorre qualcosa per questo, un po’ per distaccarsi da tutte le contingenze con le quali non si può non essere confrontati.

Ma in ogni modo pregherò affinché voi ne abbiate la grazia e affinché questo canto culli tutta la vostra vita, là dove si svolge. Spero che con molta volontà, fervore e questa gioia celeste che fa che si vive un po’ nel Cielo, di già sulla terra, vi sosterranno. Che questo sia il vostro Viatico che porterete nel vostro cuore. La serenità riconforterà altre anime che vegetano, per così dire, perché ignorano questi splendori che il buon Dio mette misericordiosamente a nostra disposizione. Ecco, cari figli, vi veglierò dall’alto del Cielo come se fossi ancora sulla terra: che il buon Dio faccia la sua Santa Volontà.

Il più grande regalo che ci ha fatto è la nostra Madre. È vostra Madre, è la Mamma di ciascuno e lei saprà trovare nella sua Intelligenza, nel suo Cuore, nella sua Tenerezza, gli accenti che consoleranno le vostre anime, che asciugheranno il vostro dolore, che trasformeranno anche le lacrime in pietre preziose per il Cielo. E non vi è niente di più bello sulla terra che le lacrime che si versano per amore. Beati quelli che piangono perché saranno consolati e beati quelli che piangono perché consolano Gesù e consolano sua Madre. Sono come delle perle brillanti sulla terra dove vi è tanta corruzione, tanto peccato, o tante cose che portano il disgusto di Dio.

Ma quando il buon Dio vede delle anime che piangono nel suo Amore, che accettano nelle lacrime, con un grande amore, il dono che il buon Dio ha fatto loro – di dar loro una Mamma che li vegli – il buon Dio è consolato e il suo sguardo crucciato, che cadrebbe sulla terra a causa del peccato, si trova placato: non può negligere, non tener conto di queste lacrime interiori. Allora non temete se il dono vi è fatto di piangere, di piangere queste lacrime d’amore pensando alla tenerezza della vostra Mamma del Cielo, la Immacolata e la Porta splendente del Cielo.

Ora queste verità bisogna viverle fino al momento in cui vicinissimi alla morte, si tocca il compimento di Maria stessa. Vi confido a Lei. E continuerò a farlo dall’alto del Cielo sperando che il buon Dio mi priverà dell’eterna miseria a causa di Maria, mia Mamma. Al di sopra delle vicissitudini della terra che dobbiamo vivere, che questo canto prevalga su tutto e che così le vostre lacrime legittime siano calmate, trasfigurate, che diventino delle pietre scintillanti che ornano la Fulgida Coeli Porta”.


NOTA:

(1) Tutte le citazioni sono parole di Mons. Guérard des Lauriers registrate durante la sua degenza in ospedale. Torna al testo