Don Ennio Innocenti, pioniere dell’ecumenismo a Roma,
di Padre Torquemada
Sì, non è un caso di omonimia. Il pioniere dell’ecumenismo nell’Urbe è proprio il don Ennio Innocenti ben noto negli ambienti cattolici “tradizionalisti”. Di lui abbiamo già parlato in un articoletto di “Sodalitium” (n. 66, aprile 2013, pp. 48-49) intitolato “Una strana coppia”. La strana coppia alla quale facevamo allusione era composta da don Ennio Innocenti – noto saggista, di parte cattolica e antimassonica, sulla massoneria, lo gnosticismo e la Cabala – ed il prof. Aldo Alessandro Mola – storico ufficiale della Massoneria e già presidente dell’Associazione per la difesa della Massoneria. I due, che scoprimmo in seguito essere buoni amici, ‘facevano coppia’ in quanto don Innocenti invitava il prof. Mola a parlare ai convegni che organizzava. Le attenzioni di “Sodalitium” non parvero offuscare don Innocenti, al contrario, giacché amichevolmente rispose invitando il nostro direttore a prendere anch’egli la parola in un futuro convegno, nonché omaggiandolo delle sue più recenti pubblicazioni (notiamo che anche il prof. Mola aveva a suo tempo invitato il nostro direttore, ricevendone, come pure don Innocenti, un cortese quanto fermo rifiuto).
Giunto ai 60 anni di sacerdozio (auguri sinceri) don Innocenti è stato intervistato a proposito della sua attività ecumenica in Roma, in occasione dell’inizio dell’ottavario di preghiere per l’unità dei cristiani. Veniamo così a sapere che don Innocenti non solo fu per tre anni segretario della commissione ecumenica del Vicariato di Roma, nel post-concilio, ma pure che già nei primi anni sessanta fu assoluto pioniere dell’ecumenismo a Roma, portando nella Città Santa – come gli rimproverò il Vicariato – le idee avanzate di moda a Parigi.
A questo punto ci si chiede: ma questo don Innocenti pioniere dell’ecumenismo è lo stesso don Innocenti che sotto falso nome scriveva sul quindicinale antimodernista (e quindi anti-ecumenista) “Sì sì no no” del compianto don Francesco Putti? E’ lo stesso don Innocenti che ha tanta influenza tra i tradizionalisti italiani, e finanche tra i sacerdoti che magari, da lui affascinati, lasciano posizioni troppo “radicali” per tornare in comunione con l’occupante della Sede Apostolica? Proprio lui, in persona. Ne deduciamo che l’ecumenismo non lo pratica solo con i metodisti, ma anche con i tradizionalisti.
Ci sovveniamo allora di un aneddoto divertente che si raccontava tanti anni fa negli ambienti appunto di “Sì si non no”, aneddoto che se non è vero è ben trovato. Ecco la storia: un sacerdote romano, stretto amico e collaboratore del noto padre gesuita Virginio Rotondi, scriveva a volte a suo nome, e col suo consenso, degli articoli sui giornali romani. In seguito, con lo pseudonimo di “Padre Quadrati” faceva le pulci a quanto egli stesso aveva pubblicato sotto il nome del suo amico, Padre Rotondi. Don Putti, che l’ambiente romano lo conosceva bene, diceva di certi prelati che non avevano una sola faccia, ma che erano ‘prismatici’. A proposito: quante facce ha un prisma?
Don Innocenti: “Il successo ecumenico, slancio per l’Europa cristiana” (Zenit, 18/1/2017)
A due giorni dai suoi 60 anni di sacerdozio, parla colui che per primo organizzò una preghiera ecumenica pubblica a Roma: “La strada verso l’unità è buona, ma non priva di difficoltà”
Si apre oggi la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, che si concluderà come consuetudine il 25 gennaio, festa della Conversione di San Paolo. Questa scadenza annuale è da sempre occasione, oltre che di preghiera ecumenica, anche di confronto tra le varie confessioni cristiane, per discutere dei progressi compiuti nonché degli ostacoli all’unità. Di questi aspetti ne parla con la franchezza che gli è propria don Ennio Innocenti. Classe 1932, cappellano della Sacra Fraternitas Aurigarum, docente di Storia, Filosofia e Teologia, mantiene la passione giovanile allorquando è chiamato ad esprimersi sui temi della fede, mentre tra due giorni ricorre il 60esimo anniversario della sua ordinazione sacerdotale. Per tre anni, dalla sua istituzione fino al 1972, è stato segretario della Commissione Ecumenica del Vicariato di Roma.
Don Ennio, cosa ha tratto dall’esperienza ecumenica?
Già ai tempi del ginnasio maturai un’aspirazione ecumenica, tant’è che allacciai una fitta corrispondenza con uno studente tedesco protestante che divenne poi cattolico. Ordinato sacerdote, ricordo che prima ancora di ricoprire questa carica, nei primi anni ’60, quando ero viceparroco a San Giovanni de’ Fiorentini, dal momento che nel territorio della parrocchia c’era una chiesa metodista, presi contatto con il pastore e organizzai con lui delle riunioni tra cattolici e protestanti per confrontarci e soprattutto per pregare insieme. Non mancavano però resistenze. Esse emersero in modo limpido anche quando ero segretario. All’epoca organizzai la prima riunione di preghiera pubblica tra cattolici e protestanti, nella chiesa di Santa Maria in Cosmedin, con la partecipazione di mons. Cunial, vicegerente della diocesi di Roma, e del presidente della Federazione evangelica. Ebbene, ci furono contestazioni da parte protestante. Lo seppi con anticipo, avvisai la questura che sparse in chiesa degli agenti, i quali intervennero quando iniziarono i primi focolai di dissenso. Insomma, la strada è buona ma non priva di difficoltà.
Qualche perplessità la colse anche da parte cattolica?
Ricordo che quando organizzavo quegli incontri con i metodisti, fui chiamato in Vicariato e interrogato da mons. Giovanni Canestri, allora vescovo ausiliare di Roma, il quale concluse il nostro colloquio affermando: “Queste tue idee sono più adatte per Parigi che per Roma”. Cioè erano “aperturiste”, a Roma una simile iniziativa era considerata troppo avanzata.
Il clima negli anni si è disteso. A cosa è dovuto?
Il germe dell’ecumenismo, sorto già ai tempi dei cardinali Newman e Mercier, si diffuse durante il secondo conflitto mondiale, quando fu posto il problema della testimonianza cristiana davanti al totalitarismo e alla persecuzione. E poi nel dopoguerra, l’imposizione della democrazia senz’altro ha favorito, gradualmente, un clima di tolleranza fra i popoli e anche fra le Chiese. Ricordo a tal proposito sempre un’esperienza personale. Negli anni ’70, quando conducevo “Ascolta si fa sera”, su RadioRai, ero in una squadra di collaboratori ecumenica e interreligiosa. Eravamo infatti cinque cattolici, un protestante e un ebreo. Era un buon esempio nel contesto degli anni di piombo.
Restano tuttavia ostacoli all’ecumenismo…
Eccome. Con i protestanti non esiste un’intesa di base, cominciando con il canone delle Scritture. Le posizioni del Concilio di Trento sul peccato originale, sull’effetto che la grazia ha sulla natura umana dopo il peccato, sono definizioni dogmatiche. La “Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione”, frutto di una commissione teologica mista, non stabilisce nulla da un punto di vista sostanziale. Va bene il dialogo, va bene la tolleranza reciproca, vanno bene anche le preghiere comuni, ma dissonanze teologiche si ripercuotono poi su questioni pratiche.
A cosa si riferisce?
Quando ero segretario, era vivissimo in Italia il dibattito sul divorzio, sull’aborto, sullo sfruttamento capitalista. Proprio in occasione di un incontro, in quegli anni, durante una settimana di preghiera ecumenica, dissi ai protestanti: ‘Questi sono campi su cui possiamo collaborare!’. Ma loro risposero negativamente.
Ancora oggi su questi temi è difficile collaborare con i protestanti?
Ma certo! I protestanti non concepiscono il diritto naturale, come invece facciamo noi cattolici sulla base ontologica definita dal Concilio di Trento. Loro hanno perduto l’orizzonte concettuale della metafisica. Il filosofo di riferimento di Lutero era Guglielmo da Ockham, un nominalista, dunque oppositore del realismo. Ancora oggi sui matrimoni omosessuali, per citare un esempio, è difficile trovare convergenza tra cattolici e protestanti. Per non parlare poi dei sacramenti. Per loro il ministero è basato su un concetto sociologico, esigenza che viene dalla base, per questo lo consentono anche alle donne. Ma qui si tratta di far miracoli, di cambiare la materia, la sostanza! Questo potere è soprannaturale e viene trasmesso – per fede – dall’alto, da Cristo agli apostoli e da questi ai successori.
Si celebrano nel 2017 i 500 anni della Riforma luterana. Il Papa è stato a Lund a commemorare l’evento con esponenti protestanti…
Il Papa ha ringraziato Dio, nella cattedrale di Lund, per “le tante intenzioni ispiratrici, teologiche e spirituali che abbiamo ricevuto per mezzo della Riforma”. Il Papa dice diplomaticamente che questo beneficio è venuto per mezzo della Riforma, ma nel senso che è venuto dopo la Riforma, per riparare la Riforma, per trarre profitto dal disordine della Riforma, non per merito della Riforma, ma per merito dei tanti Santi sorti nel periodo contemporaneo e successivo alla Riforma.
Con gli ortodossi sul piano dottrinale esiste maggiore convergenza…
Certo! Il patriarca russo Kirill ha scritto di recente un Catechismo, io gli ho inviato una lettera per comunicargli che non c’è alcuna differenza tra la sua esposizione della dottrina cristiana e ciò che io ho insegnato per anni. Infatti dal punto di vista della professione di fede, l’unione con gli ortodossi si potrebbe fare subito. Un ecumenismo, quello con gli ortodossi, favorito a livello popolare dalla devozione verso la Madre di Dio. Mentre ho sperimentato insofferenza tra i protestanti per la Madonna. Ecco, la mariologia è la chiave dell’unione tra i “due polmoni” d’Europa.
Quali sono allora i nodi da sciogliere con gli ortodossi?
La Chiesa cattolica resta un’istituzione fortemente monarchica, estranea in pratica alla sinodalità che contraddistingue gli ortodossi. Tra questi ultimi, inoltre, esistono ampi settori – specie tra i pope più anziani – fortemente contrari al dialogo ecumenico: ci considerano eretici. Ci sono poi alcune questioni che andrebbero affrontate: il tema delle seconde nozze tra gli ortodossi e la concezione della purificazione dell’anima dopo la morte. Ma l’intesa, a mio avviso, si può facilmente trovare. È ciò che chiede il popolo. E che il popolo invocò a gran voce nel 1999, a Bucarest, durante una Messa celebrata da Giovanni Paolo II alla presenza del Patriarca rumeno ortodosso. Per due minuti cattolici e ortodossi gridarono in coro un eloquente “Unità, unità!”.
Quanto gioverebbe l’ecumenismo all’Europa come istituzione politica?
Moltissimo. La Costituzione europea per ora è soltanto un progetto e per giunta intergovernativo, molto astratto. Essa rinnega le sue radici cristiane, ma può essere ancora cambiata. Se il popolo europeo si ritrovasse unito sui fondamenti cristiani, sicuramente influirebbe sulle decisioni dei governanti. Il commercio e la finanza non bastano a dare un’identità all’Europa, come hanno sempre sottolineato i Papi fin da Pio XII. Serve nuovo slancio, che solo il Cristianesimo le può dare, per costruire uno sviluppo integralmente umano in Europa e per favorirlo fuori dall’Europa. Serve tutelare la famiglia, cellula fondante della società, non solo per ragioni demografiche ma soprattutto per educare alla solidarietà e al civismo. Il successo dell’ecumenismo darebbe notevole slancio all’Europa politica, liberandola dalle secche finanziarie ed economiche.
https://it.zenit.org/articles/don-innocenti-il-successo-ecumenico-slancio-per-leuropa-cristiana/
Tweet