ARCANUM DIVINÆ
LETTERA ENCICLICA
DI SUA SANTITÀ IL PAPA LEONE XIII
A tutti i Venerabili Fratelli Patriarchi, Primati, Arcivescovi e Vescovi del mondo cattolico
che hanno grazia e comunione con la Sede Apostolica.
Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.
L’arcano consiglio della sapienza divina, che il Salvatore degli uomini Gesù Cristo doveva compiere sulla terra, mirava appunto a questo: che Egli, per sé ed in sé, rinnovasse prodigiosamente il mondo, quasi consunto della vecchiaia. Il che espresse in una splendida e magnifica frase l’Apostolo Paolo quando scrisse agli Efesini: “Averci Iddio fatto noto il mistero della sua volontà… di riunire in Cristo tutte le cose, sia quelle che sono nei cieli, sia quelle che sono in terra” (Ef 1,9-10). Infatti, allorché Cristo Signore cominciò ad eseguire il mandato che gli aveva dato il Padre, subito comunicò a tutte le cose una nuova forma e bellezza, dileguandone ogni squallore. Infatti, Egli sanò le ferite che il peccato del primo padre aveva cagionato alla natura umana; riconciliò con Dio tutti gli uomini, per natura figli dell’ira; ricondusse alla luce della verità coloro che erano oppressi dagli errori; riportò ad ogni virtù coloro che erano soggiogati da ogni impudicizia; ed avendo ridonato tutti alla eredità della beatitudine eterna, diede loro la sicura speranza che lo stesso loro corpo mortale e caduco sarebbe stato un giorno partecipe dell’immortalità e della gloria celeste. Affinché poi benefìci tanto singolari durassero sulla terra fintantoché vi fossero uomini, costituì la Chiesa vicaria di ogni sua potestà, e, guardando all’avvenire, volle che essa, se qualche turbamento si verificasse nella società umana, vi riportasse l’ordine e riparasse eventuali guasti.
Benché questo divino rinnovamento che abbiamo detto riguardasse principalmente e direttamente gli uomini costituiti nell’ordine della grazia soprannaturale, tuttavia i suoi preziosi e salutari frutti ridondarono largamente anche nell’ordine naturale, così che ne conseguirono una non mediocre perfezione tanto i singoli mortali, quanto l’intiera famiglia del genere umano. Infatti, appena stabilita nel mondo la religione cristiana, a tutti e singoli gli uomini fu offerta la felice sorte di conoscere la paterna provvidenza di Dio, di avvezzarsi a porre in essa ogni loro fiducia, ed a nutrire quella speranza che non confonde, cioè la speranza dei celesti aiuti, dai quali derivano la fortezza, la moderazione, la costanza, l’equilibrio dello spirito e, infine, molte belle virtù e fatti egregi. È davvero meraviglioso quanta dignità, quanta stabilità e quanto decoro ne siano derivati alla comunità familiare e a quella civile. L’autorità dei Principi si è resa più ragionevole e più santa; l’obbedienza dei popoli più devota e più pronta; i vincoli di fratellanza fra i cittadini più stretti, i diritti di proprietà più garantiti. La religione cristiana provvide a tutte le cose che sono ritenute utili nello Stato, tanto che, come dice Sant’Agostino, non pare che essa avrebbe potuto apportare maggior soccorso al tranquillo e beato vivere, se fosse nata unicamente per apprestare od accrescere i comodi ed i beni della vita mortale.
Ma non è ora Nostro intendimento enumerare tutti i particolari intorno a questo argomento; solo Ci proponiamo di ragionare della comunità domestica, il cui principio o fondamento si trova nel matrimonio.
Tutti sanno, Venerabili Fratelli, quale sia l’origine vera del matrimonio. Poiché, sebbene i detrattori della fede cristiana rifuggano dal conoscere la dottrina perpetua della Chiesa intorno a questa materia, e si sforzino da gran tempo di cancellare la memoria di tutte le genti e di tutti i secoli, tuttavia non hanno potuto né estinguere, né diminuire la luce della verità. Rammentiamo a tutti cose note e non dubbie: dopo che Iddio, nel sesto giorno della creazione, formò l’uomo dalla polvere della terra, e gli soffiò nel volto l’alito della vita, volle dargli una compagna che trasse prodigiosamente da un fianco dello stesso uomo addormentato. Con questo il provvidentissimo Iddio intese che quella coppia di coniugi fosse il principio naturale di tutti gli uomini, dal quale cioè dovesse propagarsi il genere umano e, attraverso generazioni mai interrotte, conservarsi nel tempo. Quella congiunzione dell’uomo e della donna, affinché meglio rispondesse ai sapientissimi consigli di Dio, fin da allora mostrò in sé, come altamente impresse e scolpite, due proprietà principali ed oltremodo nobilissime, cioè l’unità e la perpetuità. Ciò vediamo dichiarato e solennemente ratificato dal Vangelo con la divina autorità di Gesù Cristo, il quale proclamò ai Giudei ed agli Apostoli che il matrimonio, per la sua stessa istituzione, deve essere solamente tra due, ossia tra un uomo e una donna; che dei due si forma come una sola carne, e che il vincolo nuziale, per volere di Dio, è così intimamente e fortemente unito che nessuno tra gli uomini può romperlo o scioglierlo. “Starà congiunto [l’uomo] con la moglie sua, e i due saranno una sola carne. Pertanto non sono più due, ma una carne sola. Dunque ciò che Iddio ha congiunto l’uomo non separi” (Mt 19,5-6).
Peraltro questa forma di connubio, tanto nobile e sublime, a poco a poco cominciò a corrompersi e a venir meno presso i popoli pagani; e presso la stessa nazione degli Ebrei parve quasi annebbiarsi e oscurarsi. Infatti, presso questi, a proposito delle mogli era comune consuetudine che ad ogni uomo fosse lecito averne più d’una. Successivamente, avendo Mosè, “a cagione della durezza del loro cuore” (Mt 19,8), dato benignamente la facoltà dei ripudi, fu aperta la strada al divorzio. Presso i pagani, poi, sembra cosa appena credibile quanta corruzione e depravazione si concentrassero nelle nozze, soggette al fluttuare degli errori e delle turpissime cupidigie di ciascun popolo. Tutte le genti, più o meno, parvero disimparare la nozione e l’origine vera del matrimonio; e intorno ai connubi dappertutto si promulgavano leggi le quali parevano secondare l’indole dei governi, non quelle richieste dalla natura. I riti solenni, introdotti ad arbitrio dei legislatori, facevano sì che le donne ottenessero il nome onesto di moglie o quello infame di concubina, anzi, si giunse a un punto tale che secondo la volontà dei capi della repubblica si disponeva a chi fosse permesso di contrarre le nozze, e a chi no, dato che le leggi richiedevano molte cose contrarie all’equità e molte a favore dell’ingiustizia. Oltre a ciò, la poligamia, la poliandria, il divorzio furono cagione che il vincolo nuziale si rallentasse di molto. Esisteva una grandissima confusione nei vicendevoli diritti e doveri dei coniugi, dato che il marito acquistava la proprietà della moglie, e sovente senza nessuna giusta causa ordinava a lei che, ripigliate le cose sue, se ne andasse; egli poi, spinto da una sfrenata ed indomabile libidine, poteva impunemente “scorrazzare per i lupanari in cerca di schiave, come se dalla dignità non dalla volontà dipendesse la colpa” (S. Girolamo Epist. 77, 3 PL 22, 691). In così strabocchevole licenza del marito, nulla vi era di più miserando della moglie, abbassata a tanta viltà che quasi veniva considerata soltanto come uno strumento destinato a soddisfare alla libidine od a procreare figli. Né arrossì per il fatto che quelle che erano da collocare per mogli fossero comprate e vendute a somiglianza delle cose corporali (Arnobio, Adversus Gentes, 4), essendo stata data talvolta facoltà al padre o al marito di condannarle all’estremo supplizio la moglie. Una famiglia nata da siffatti connubi era giocoforza considerata come proprietà dello Stato, o come schiava del padre di famiglia (Dionysius Halicarnassus, lib. II, c. 26-27), al quale le leggi avevano concesso il potere non solo di effettuare o di sciogliere a suo arbitrio il matrimonio dei figli, ma di esercitare altresì sopra di essi l’immane potere della vita e della morte.
Ma a tanti vizi e a così grandi ignominie, da cui erano inquinati i connubi, vennero infine approntati dal cielo il soccorso e la medicina, in quanto Gesù Cristo, riparatore dell’umana dignità e perfezionatore delle leggi mosaiche, si prese non piccola né ultima cura del matrimonio. Egli infatti nobilitò con la sua presenza le nozze in Cana di Galilea, e con il primo dei suoi prodigi le rese memorabili (Gv 2,1-11), e da quel giorno pare che cominciasse a risplendere una nuova santità nei connubi degli uomini. Poscia richiamò il matrimonio alla nobiltà della prima origine, sia col riprovare i costumi degli Ebrei, che abusavano e del numero delle mogli e della facoltà del ripudio, sia massimamente col prescrivere che nessuno osasse sciogliere ciò che Iddio con perpetuo vincolo di congiunzione aveva legato. Pertanto, avendo confutato le difficoltà che derivavano dalle istituzioni mosaiche, assunta la persona di supremo legislatore, decretò queste cose intorno ai coniugi: “Ora io vi dico che chiunque rimanderà la propria moglie, salvo che per cagione d’adulterio, e ne sposerà un’altra, commette adulterio; e chi sposerà colei che fu ripudiata commette adulterio” (Mt 19,9), cioè che Cristo Signore ha innalzato il matrimonio alla dignità di Sacramento (Conc. Trid., sess. XXIV, in principio), ed ha contemporaneamente fatto sì che i coniugi, rivestiti e fortificati dalla celeste grazia che i meriti di Lui apportarono, ottenessero la santità nello stesso matrimonio. In questo, conformato mirabilmente all’esempio del suo mistico connubio con la Chiesa, ha perfezionato l’amore naturale, e stretto più fortemente col vincolo della carità divina l’unione, indivisibile per sua stessa natura, del marito e della moglie (Conc. Trid., sess. XXIV, cap.1, De reformatione matrimonii). “O uomini, – dice Paolo agli Efesini – amate le vostre mogli come anche Cristo amò la Chiesa e diede se stesso per lei, al fine di santificarla… I mariti debbono amare le loro mogli come i loro propri corpi… dato che nessuno ebbe mai in odio la propria carne; anzi la nutre e la cura, come fa pure Cristo della Chiesa: perché noi siamo membra del suo corpo, della sua carne e delle sue ossa. Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre sua, e starà congiunto con sua moglie; e i due saranno una carne sola. Questo Sacramento è grande: io però lo dico riguardo a Cristo e alla Chiesa” (Ef 5,25-33). Similmente apprendemmo dagli Apostoli che Cristo ha decretato che l’unione e la perpetua stabilità – che si richiedevano fino dalla stessa origine delle nozze – fossero sacre e inviolabili in tutte le età. “Ai coniugati, dice lo stesso Paolo, ordino, non io, ma il Signore, che la moglie non si separi dal marito, e qualora si sia separata, rimanga senza rimaritarsi, o si ricongiunga con suo marito” (1Cor 7,10-11), e di nuovo: “La moglie è legata alla legge per tutto il tempo che suo marito vive; se il marito muore, ella è libera” (1Cor 7,39). Per questi motivi dunque il matrimonio divenne “Sacramento grande” (Ef 5,32), “onorabile in tutto” (Eb 13,4), pio, casto, venerando per la figura ed il significato d’altissime cose.
Né la sua cristiana e somma perfezione è contenuta soltanto nelle prerogative che si sono ricordate. Infatti, in primo luogo alla società coniugale fu prestabilito uno scopo più nobile e più alto che mai fosse stato in precedenza, in quanto si volle che essa mirasse non solo a propagare il genere umano, ma a generare figli alla Chiesa, “concittadini dei Santi e domestici di Dio” (Ef 2,19), cioè “che fosse creato ed educato un popolo al culto e alla religione di Cristo, vero Dio e nostro Salvatore” (Catech. Rom., c. XXVII, IV). In secondo luogo, all’uno ed all’altro dei coniugi furono stabiliti i loro propri doveri, e interamente descritti i loro diritti. È necessario cioè che essi abbiano sempre l’animo talmente disposto da comprendere l’uno dovere all’altro un amore grandissimo, una fede costante, un sollecito e continuo aiuto. Il marito è il principe della famiglia e il capo della moglie; la quale, non pertanto, dato che è carne della carne di lui ed osso delle sue ossa, deve essere soggetta ed obbediente al marito, non a guisa di ancella, ma di compagna; cioè in modo tale che la soggezione che ella rende a lui non sia disgiunta dal decoro né dalla dignità. In lui che governa, ed in lei che obbedisce, dato che entrambi rendono l’immagine l’uno di Cristo, l’altra della Chiesa, sia la carità divina la perpetua moderatrice dei loro doveri. Infatti “l’uomo è capo della donna, come Cristo è capo della Chiesa… Quindi, come la Chiesa è soggetta a Cristo, così le mogli debbono essere soggette ai loro mariti in ogni cosa” (Ef 5,23-24); furono pareggiati i diritti del marito e della moglie; infatti, come diceva San Girolamo, “presso di noi ciò che non è lecito alle donne, altrettanto non è lecito agli uomini, e la stessa servitù viene considerata a pari condizione” (S. Girolamo, Epist. 77 PL 22, 691); furono stabilmente consolidati i medesimi diritti per mezzo della reciproca benevolenza e dei vicendevoli compiti; fu garantita e tutelata la dignità delle donne; fu vietato al marito di punire l’adulterio con la pena di morte, e di violare per libidine e impudicizia la fede giurata. È altresì di grande importanza che la Chiesa abbia posto un limite, nella misura necessaria, alla patria potestà, affinché nulla venisse tolto alla ragionevole libertà dei figli e delle figlie che desiderassero sposarsi; che abbia decretato nulle le nozze tra i consanguinei e gli affini in certi gradi, affinché l’amore soprannaturale dei coniugi potesse diffondersi in più vasto campo; che abbia avuto cura di rimuovere dalle nozze, per quanto le fu possibile, l’errore, la violenza e la frode; che abbia voluto si conservassero intere ed intatte la pudicizia santa del talamo, la sicurezza delle persone, la dignità dei connubii, la integrità della religione. Da ultimo, con tanto vigore, con tanta provvidenza di leggi fortificò codesta divina istituzione, tanto che non v’è alcuno, giusto estimatore delle cose, il quale non comprenda che anche per quanto si riferisce ai connubi, la Chiesa è ottima conservatrice e protettrice del genere umano; la sua sapienza trionfò nel corso dei tempi contro le ingiurie degli uomini e le innumerevoli vicende degli Stati.
Ma ad opera del nemico del genere umano non mancano coloro che, come rigettano ingratamente gli altri benefici della redenzione, così disprezzano o non riconoscono affatto la riabilitazione e il perfezionamento del matrimonio. Fu malvagità di alcuni antichi l’essere stati nemici delle nozze in qualche loro prerogativa, ma con danno molto più grave peccano all’età nostra coloro che vogliono completamente corromperne la natura, così perfetta e completa in tutte le sue parti e qualità. La causa di tale guerra consiste massimamente in questo, che imbevuti delle opinioni di una falsa filosofia e di prave abitudini, gli animi di molti soffrono soprattutto nello stare soggetti e nell’obbedire; pertanto operano a più non posso perché non solo ciascun uomo, ma le famiglie e tutta l’umana società disprezzino i comandi di Dio. Siccome però la fonte e l’origine della famiglia e della società umana sono riposte nel matrimonio, non possono in alcun modo sopportare che esso sia sottoposto alla giurisdizione della Chiesa; anzi si sforzano di spogliarlo d’ogni santità e di circoscriverlo entro la cerchia veramente angusta delle cose che furono istituite dal senno umano, e che cadono sotto l’autorità e il governo del diritto civile. Dal che doveva derivare per necessaria conseguenza che essi attribuissero ogni diritto sopra i connubi ai capi dello Stato, e che non ne avesse alcuno la Chiesa; la quale, se talvolta esercitò un siffatto potere, ciò avvenne o per condiscendenza dei Principi, o per sopruso. Ma essi dicono che ormai è giunto il tempo nel quale coloro che reggono lo Stato devono difendere gagliardamente i loro diritti, e cominciare a regolare a loro discrezione ogni cosa che appartiene ai connubi. Quindi sono nati i cosiddetti matrimoni civili; sono state stabilite le leggi intorno alle cause che possano impedire le nozze; da qui le sentenze del foro intorno ai contratti matrimoniali eseguiti illegalmente o con difetto. Infine vediamo che ogni facoltà di far leggi e pronunciare sentenze in questa materia è stata sottratta alla Chiesa cattolica con studiata abilità, al punto che non si tiene alcun conto né della sua potestà divina, né delle sue provvide leggi, con le quali così a lungo vissero beatamente i popoli, ai quali con la cristiana sapienza pervenne la luce della civiltà.
Con tutto ciò i Naturalisti e tutti coloro che, professandosi altamente devoti alla onnipotenza dello Stato, si sforzano di sconvolgere con queste malvagie dottrine tutta la società, non possono sfuggire all’accusa di falsità. Infatti, poiché il matrimonio ha Dio come autore, ed essendo stato fin da principio quasi una figura della Incarnazione del Verbo di Dio, perciò in esso si trova qualcosa di sacro e religioso, non avventizio, ma congenito, non ricevuto dagli uomini, ma innestato da natura. Pertanto, Innocenzo III e Onorio III, Nostri Predecessori, non a torto né senza ragione poterono affermare che “il Sacramento del matrimonio esiste presso i fedeli e gl’infedeli”. Chiamiamo in testimonio i monumenti dell’antichità, ed i costumi e le usanze dei popoli che meglio si erano avvicinati all’umanità, e che avevano progredito in una più esatta cognizione del diritto e della equità; nelle loro menti era impressa, come preconcetta ed innata, questa nozione, cioè che quando pensavano al matrimonio sorgeva in essi spontaneamente l’idea di una cosa congiunta con la religione e la santità. Per questo motivo le nozze presso di loro non venivano sovente celebrate senza i riti delle religioni, l’autorità dei pontefici, il ministero dei sacerdoti.
Tanta meravigliosa efficacia ebbero in quegli animi, pur digiuni della celeste dottrina, la natura delle cose, la memoria delle origini, la coscienza del genere umano! Pertanto, mostrandosi il matrimonio per la sua stessa natura come cosa del tutto sacra, è giusto che venga regolato e moderato non dal potere dei Principi, ma dall’autorità divina della Chiesa, la quale sola ha il magistero delle cose sacre. Inoltre si deve por mente alla dignità del Sacramento, prerogativa per la quale divennero oltre ogni dire nobilissimi i matrimoni dei cristiani. Il dar leggi, poi, e disposizioni intorno ai Sacramenti, lo può e deve, per volontà di Cristo, soltanto la Chiesa, sicché ripugna assolutamente il volere che una minima parte di tale potestà sia trasferita nei reggitori delle cose civili.
Da ultimo, grande è il peso, grande l’autorità della storia, la quale solennemente attesta che la Chiesa liberamente e costantemente fu solita esercitare il potere legislativo e giudiziario, di cui ragioniamo, anche in quei tempi nei quali sarebbe somma stoltezza supporre che i moderatori dello Stato in tal fatto prestassero il loro consenso o fingessero di non vedere. È certamente tanto incredibile quanto assurdo che Cristo Signore condannasse l’inveterata consuetudine della poligamia e del ripudio per una facoltà a lui delegata dal governatore della provincia o dal principe dei Giudei; analogamente che l’Apostolo Paolo proclamasse illeciti i divorzi e le nozze incestuose per condiscendenza o per tacito mandato di un Tiberio, di un Caligola, di un Nerone! E neppure potrà mai farsi credere ad un uomo di sano intelletto, che intorno alla santità e alla stabilità dei connubi, intorno alle nozze tra gli schiavi e le donne libere, fossero promulgate dalla Chiesa tante leggi con licenza impetrata dagli Imperatori romani, assolutamente nemici del nome cristiano, i quali non avevano altro più deciso proposito che di opprimere con la violenza e con le stragi la crescente religione di Cristo, soprattutto per la ragione che il diritto stabilito dalla Chiesa era alle volte talmente discordante dal diritto civile, che Ignazio Martire (Epistola ad Polycarpum, cap. 5 PG 5, 723-724), Giustino (Apolog. Maj., 15 PG 6. 349A. B), Atenagora (Legat. pro Christian., 32, 33 PG 6, 963-968) e Tertulliano (De coron. milit., 13 PL 2, 116) riprovavano pubblicamente come ingiuste od illegittime le nozze di alcuni alle quali, nondimeno, erano favorevoli le leggi imperiali.
Dopo che ogni potere passò agli Imperatori cristiani, i Sommi Pontefici ed i Vescovi adunati nei Concili, con la stessa libertà e coscienza del loro diritto continuarono sempre a prescrivere o ad inibire intorno ai matrimoni quanto ritenevano utile, quanto conforme ai tempi, ancorché sembrasse contrario alle consuetudini civili. Nessuno ignora quante grandi cose, spesso contrarie ai decreti sanciti dal diritto cesareo, siano state stabilite dai Prelati della Chiesa nei Concili Illiberitano, Arelatese, Calcedonese, Milevitano II ed in altri, intorno agli impedimenti del vincolo, del voto, della diversità di culto, della consanguineità, del delitto e della pubblica onestà. Anzi, fu così lontana l’ipotesi che i Principi si arrogassero la giurisdizione nei matrimoni cristiani, che riconobbero invece e dichiararono che essa era tutta e soltanto nella Chiesa. Infatti Onorio, Teodosio il giovine, Giustiniano non esitarono a dichiarare che, nelle cose che riguardano le nozze, non era loro lecito di esser altro che custodi e difensori dei sacri canoni. E se sancirono qualche cosa con i loro editti sopra gl’impedimenti dei connubi, ne fecero spontaneamente conoscere il motivo, cioè che essi si erano presa tale libertà con il permesso e l’autorizzazione della Chiesa, della quale furono soliti ricercare e seguire con ossequio la decisione nelle questioni riguardanti l’onestà dei natali, i divorzi, e in definitiva tutte le cose che hanno una relazione con il vincolo coniugale. Pertanto fu con buona ragione definito nel Tridentino essere in potestà della Chiesa “determinare gl’impedimenti che rompono il matrimonio, ed essere di competenza dei giudici ecclesiastici le cause matrimoniali” (Conc. Trid., sess. XXIV, canoni 4 e 12).
Né deve impressionare qualcuno la separazione tanto sostenuta dai Regalisti, che distinguono il contratto nuziale dal Sacramento, con l’intenzione di lasciare il contratto in balìa ed in arbitrio dei capi dello Stato, riservando alla Chiesa le ragioni del Sacramento. Infatti non si può approvare tale distinzione, o più esattamente separazione, essendo manifesto che nel matrimonio cristiano il contratto non può essere separato dal Sacramento, e perciò non può sussistere un vero e legittimo contratto che non sia al tempo stesso Sacramento. Poiché il matrimonio fu arricchito da Cristo Signore della dignità di Sacramento, il matrimonio si identifica con lo stesso contratto, quando sia fatto secondo le norme volute. Si aggiunga che il matrimonio è Sacramento proprio per questo: che è un segno sacro, che produce la grazia e rende immagine delle mistiche nozze di Cristo con la Chiesa. La forma poi e la figura di queste vengono espresse da quello stesso vincolo di perfetta unione con il quale l’uomo e la donna si congiungono tra loro, e che non è altro se non il matrimonio medesimo. È dunque chiaro che ogni giusto connubio tra cristiani è in sé e per sé Sacramento: e niente è più contrario alla verità di questo, che il Sacramento sia un certo ornamento aggiunto, od una proprietà estrinseca, che si possa ad arbitrio degli uomini disgiungere e separare dal contratto. Quindi né con la ragione, né con la storia, testimone dei tempi, si arriva a provare che il potere sui matrimoni dei Cristiani sia a buon diritto trasferito nei capi dello Stato. Se in questa materia fu violato l’altrui diritto, nessuno certamente potrà dire che sia stato violato dalla Chiesa.
Dio volesse poi che le dottrine dei Naturalisti, piene come sono di falsità e d’ingiustizia, così non fossero anche portatrici di danni e di calamità! Ma è facile conoscere quanta rovina abbiano arrecato i connubi celebrati profanamente, quanta siano per arrecarne alla generale comunità degli uomini. Innanzi tutto è legge divinamente sancita che le cose istituite da Dio e dalla natura risultano sperimentalmente tanto più utili e salutari quanto più rimangono integre ed immutabili nel loro stato originale, dato che Dio, creatore di tutte le cose, ben conobbe ciò che alla istituzione e al mantenimento di ciascuna sia conveniente, e con la volontà e con la mente sua le ha tutte ordinate in modo che ognuna debba opportunamente raggiungere il suo fine. Ma se la temerità e la malvagità degli uomini vogliono mutare e sconvolgere l’ordine delle cose provvidamente stabilito, allora anche le cose istituite con somma sapienza ed altrettanta utilità cominciano a nuocere o cessano di giovare, sia perché col mutare abbiano perduto la virtù di far bene, sia perché Iddio stesso voglia piuttosto castigare siffatte manifestazioni dell’orgoglio e dell’audacia dei mortali. Ora, coloro che negano che il matrimonio è sacro e, spogliatolo d’ogni santità, lo relegano nel novero delle cose profane, rovesciano le fondamenta della natura, e come si oppongono ai consigli della provvidenza divina, così ne abbattono, per quanto sta in loro, le istituzioni. Pertanto non deve suscitare meraviglia che da tali sforzi forsennati ed empi si generi quella moltitudine di mali, di cui niente è più pernicioso alla salute delle anime ed alla incolumità degli Stati.
Se si ricerca a qual fine fosse ordinata la divina istituzione dei matrimoni, apparirà evidentissimo che Dio volle in essi racchiudere fonti ricchissime di pubblica utilità e salvezza. E in verità, oltre che provvedere alla propagazione del genere umano, essi hanno anche lo scopo di rendere migliore e più facile la vita dei coniugati, e ciò per più ragioni, quali gli scambievoli aiuti nell’alleviare le loro necessità, l’amore costante e fedele, la comunanza di tutti i beni, la grazia celeste che proviene dal Sacramento. I matrimoni poi contribuiscono assai alla salvezza delle famiglie, giacché essi, finché saranno conformi alla natura e risponderanno pienamente ai consigli di Dio, potranno senza dubbio rafforzare la concordia degli animi fra i genitori, garantire la retta educazione dei figli, moderare la patria potestà sull’esempio della potestà divina, rendere obbedienti i figli ai genitori, i servi ai padroni. Da tali connubi poi le comunità possono ragionevolmente aspettarsi una stirpe ed una successione di cittadini che siano ottimamente animati e che, assuefatti all’ossequio e all’amore verso Dio, reputino stretto dovere prestare obbedienza a coloro che giustamente e legittimamente esercitano il comando, portare a tutti benevolenza, non recare offesa ad alcuno.
Il matrimonio produsse veramente tutti questi frutti copiosi e salutari finché mantenne le prerogative della santità, dell’unità e della perpetuità, dalle quali esso riceve ogni virtù feconda di beni e di salute; né si può dubitare che ne avrebbe sempre prodotto di simili ed eguali se fosse stato continuamente ed in ogni luogo sotto il potere e la protezione della Chiesa, la quale è conservatrice e vindice di quelle prerogative. Ma poiché al presente piacque dappertutto sostituire il diritto umano al naturale e al divino, cominciò non solo a cancellarsi l’immagine e la nozione nobilissima del matrimonio che la natura aveva impressa e quasi scritta negli animi dei mortali, ma nei medesimi connubi dei cristiani, per colpa degli uomini, fu molto affievolita quella virtù generatrice di grandi beni. Infatti, che cosa di buono possono mai apportare quelle unioni coniugali dalle quali è costretta ad allontanarsi la religione, madre feconda di ogni bene, che alimenta le più grandi virtù, promovendo ed avvalorando ogni eccelsa qualità d’animo generoso e sublime? Quando essa sia allontanata e sia rigettata è inevitabile che le nozze siano fatte schiave della viziosa natura degli uomini e di quelle pessime cupidigie che signoreggiano gli animi, senza che questi trovino altra difesa che quella ben poco efficace della onestà naturale. La molteplice rovina che derivò da questa fonte si diffuse non solo nelle famiglie private, ma nelle intiere comunità. Infatti, rimosso il timore salutare di Dio, e tolto ai miseri il conforto che si trova nella religione cristiana, del quale non esiste uno maggiore, avviene sovente ciò che è troppo facile che accada, cioè che sembrino quasi insopportabili gli obblighi e gli altri pesi del matrimonio. Conseguentemente molti desiderano che sia sciolto quel vincolo che credono dipendere dal diritto umano e dal loro libero arbitrio, nell’ipotesi in cui la diversità dei caratteri, la discordia o la violata fedeltà da parte dell’uno o dell’altro, o il consenso di entrambi, od altri motivi li persuadano che sia necessario scioglierlo. E se per avventura la legge vieta loro di soddisfare alla protervia delle loro voglie, allora gridano che le leggi sono ingiuste, disumane, in piena contraddizione con il diritto di liberi cittadini, e perciò si deve ad ogni modo far sì che, rigettate ed abrogate quelle, si stabilisca con una legge più umana che sono leciti i divorzi.
I legislatori poi dei tempi nostri, professandosi fedeli ed ardenti seguaci degli stessi principi di diritto, non possono schermirsi, quand’anche lo volessero, dalla protervia degli uomini che abbiamo detto: quindi è giocoforza cedere ai tempi ed accordare la facoltà dei divorzi. Questo ci viene dimostrato dalla storia. Infatti, per tralasciare altri esempi, sul declinare del secolo scorso, in quello, più che perturbamento, orribile sconvolgimento delle Gallie, quando l’intera società, allontanato da sé Iddio, si rese profana, volle infine che fossero ratificati per legge i divorzi dei coniugi. Queste stesse leggi, poi, molti ai giorni nostri desiderano che siano richiamate in vigore, in quanto vogliono che Dio e la Chiesa siano tolti di mezzo e allontanati dalla umana società, dandosi stoltamente a credere che in siffatte leggi si debba ricercare il supremo rimedio alla rovinosa corruttela dei costumi.
Ora, quanta occasione di mali contengano in sé stessi i divorzi, è appena il caso di ricordarlo. Per essi infatti si rendono mutabili le nozze; si diminuisce la mutua benevolenza; si danno pericolosi eccitamenti alla infedeltà; si reca pregiudizio al benessere e all’educazione dei figli; si offre occasione allo scioglimento delle comunità domestiche; si diffondono i semi delle discordie tra le famiglie; si diminuisce e si abbassa la dignità delle donne, le quali, dopo aver servito alla libidine degli uomini, corrono il rischio di rimanere abbandonate. E poiché per distruggere le famiglie e abbattere la potenza dei regni niente ha maggior forza che la corruzione dei costumi, è opportuno conoscere che contro la prosperità delle famiglie e delle nazioni sono funestissimi i divorzi, i quali nascono da depravate consuetudini e, come attesta l’esperienza, aprono l’adito ad una sempre maggiore corruzione del costume pubblico e privato. E questi mali appariranno anche più gravi se si considera che non vi sarà mai alcun freno tanto potente che valga a contenere la licenza entro certi e prestabiliti confini, una volta che sia stata concessa la facoltà dei divorzi. È grande la forza degli esempi; maggiore quella delle passioni. Per tali eccitamenti avverrà certamente che la sfrenata voglia dei divorzi, serpeggiando ogni dì più largamente, invaderà l’animo di moltissimi, simile a morbo che si sparge per contagio, o come torrente che, rotti gli argini, trabocca.
Queste cose senz’altro sono per se stesse evidenti, ma, rinfrescando la memoria di quanto è accaduto, diventano più evidenti ancora. Non appena si cominciò a rendere sicura la via dei divorzi attraverso la legge, crebbero assai le discordie, le inimicizie, le separazioni; e ne conseguì tanta turpitudine di vita che quegli stessi che si erano fatti difensori di tali separazioni ne furono pentiti; e se non avessero tempestivamente apprestato il rimedio con legge contraria, si poteva temere che ben presto la repubblica stessa sarebbe caduta in rovina. È fama che gli antichi romani inorridissero davanti ai primi esempi di divorzio; ma dopo non lungo tempo cominciò ad assopirsi negli animi il sentimento dell’onestà, a spegnersi il pudore che modera gli appetiti, e a rompersi con tanta licenza la fede coniugale, che sembra abbia grande verosimiglianza ciò che alcuni lasciarono scritto, cioè che le donne usavano computare gli anni non con la successione dei consoli, ma dei mariti. Parimenti presso i Protestanti, le leggi da principio avevano disposto che fosse lecito fare divorzio per cause determinate, e a dir vero non molte; tuttavia queste, per l’affinità con cose simili, giunsero a tal numero presso i Tedeschi, gli Americani ed altri popoli, che coloro i quali non avevano perduto il senno ritennero doversi deplorare sommamente l’infinita depravazione dei costumi e la intollerabile avventatezza delle leggi. Né altrimenti andò la cosa presso le nazioni cattoliche, nelle quali, se fu concessa la separazione dei connubi, la moltitudine degli inconvenienti che ne seguirono superò di gran lunga la previsione dei legislatori. Perciò molti giunsero a tanta malizia da escogitare ogni malignità e frode per mezzo di crudeltà da essi stessi usate, d’ingiurie, di adulterii, di finte cause al fine di sciogliere impunemente il vincolo dell’unione coniugale che era loro venuto a noia: e ciò con così grave pregiudizio della pubblica onestà, che tutti ritennero necessario intervenire senza indugio per emendare le leggi. E vi sarà qualcuno che dubiti che esiti egualmente tristi e calamitosi non debbano avere le leggi favorevoli ai divorzi, qualora in qualche luogo, in questa nostra epoca, si richiamassero in vigore? I progetti o i decreti degli uomini non hanno certamente tanta forza da poter mutare l’indole naturale e l’ordine delle cose. Pertanto hanno ben poca saggezza coloro che ritengono che la pubblica felicità possa giungere pervertendo impunemente la vera natura del matrimonio. Accantonata qualsiasi santità di religione e di Sacramento, sembra che essi vogliano deformare e disonorare i connubi più turpemente di quanto non usassero gli stessi Gentili. Quindi, qualora non si muti consiglio, le famiglie e la società umana dovranno stare in perpetuo timore di essere travolte in quella lotta e in quello scompiglio di tutte le cose a cui da gran tempo anelano le pericolose sette dei Socialisti e dei Comunisti. Dal che si rende palese essere vanità e follia attendere la salvezza pubblica dai divorzi, i quali anzi condurranno a sicura rovina la società.
Si deve pertanto riconoscere che la Chiesa cattolica è stata sommamente benemerita del bene comune di tutti i popoli, essa che fu sempre intenta a tutelare la santità e la perpetuità dei connubii; né piccola gratitudine le si deve per avere apertamente protestato contro le riprovevoli leggi civili che ormai da cento anni in questa materia si vanno promulgando (Pio VI, Epist. ad episc. Lucion., 20 mai 1793; Pio VII, Let. encicl. del 17 feb. 1809 e costituzione del 19 luglio 1817; Pio VIII, Let. encicl. del 29 maggio 1829; Gregorio XVI, costituzione del 15 agosto 1832; Pio IX, alloc. del 22 sett. 1852); per avere fulminato l’anatema contro la pessima eresia dei Protestanti sui divorzi e i ripudi (Conc. Trid., sess. XXIV, canoni 5 e 7); per avere in molti modi riprovato la separazione dei matrimoni praticata presso i Greci così frequentemente (Concilio di Firenze e istruzione di Eugenio IV agli Armeni, Benedetto XIV, costituzione Etsi Pastoralis, 6 maggio 1742); per avere decretato la nullità delle nozze celebrate con la condizione che una volta possano sciogliersi; infine per avere fino dai primi tempi rigettato le leggi imperiali che erano favorevoli in modo esiziale ai divorzi e ai ripudi (S. Girolamo, Epist. 69, ad Oceanum PL 22, 657; S. Ambrogio, Lib. 8 in cap. 16 Lucae, n. 5 PL 15, 1857; S. Agostino, De nuptiis, 1, 10, 11 PL 44, 420).
Quante volte poi i Sommi Pontefici fecero resistenza a Principi potentissimi i quali chiedevano con minacce che i divorzi da loro fatti venissero ratificati dalla Chiesa, altrettante volte si deve ritenere che essi abbiano combattuto non solo per la salvezza della religione, ma anche per la civiltà dei popoli. Al qual proposito tutti i posteri ammireranno gli esempi di animo invitto mostrati da Niccolò I contro Lotario; da Urbano II e da Pasquale II contro Filippo I, re delle Gallie; da Celestino III e Innocenzo III contro Filippo II, re delle Gallie; da Clemente VII e Paolo III contro Enrico VIII; infine dal santissimo e fortissimo Pontefice Pio VII contro Napoleone I, baldanzoso per la fortuna che lo assecondava e per la grandezza del proprio impero.
Quindi, se tutti i governatori e amministratori degli Stati avessero voluto seguire la ragione, la sapienza e lo stesso interesse dei sudditi, avrebbero dovuto desiderare che le sacre leggi intorno al matrimonio rimanessero intatte, e valersi dell’aiuto offerto dalla Chiesa a tutela dei costumi e a prosperità delle famiglie, piuttosto che mettere in sospetto quale nemica la stessa Chiesa, ed attribuirle la falsa ed iniqua accusa di avere violato il diritto civile.
Ciò tanto più in quanto la Chiesa cattolica, come in nessuna cosa può mancare alla fedeltà del suo ufficio e alla difesa dei suoi diritti, così suole essere sommamente inclinata a benignità e indulgenza in tutte quelle cose che possono insieme conciliarsi con la saldezza delle sue ragioni e con la santità dei suoi doveri. Infatti non stabilì mai intorno ai connubi senza tener conto dello stato della società e della condizione dei popoli. Più volte ella medesima, per quanto poté mitigò le proprie leggi, quando fu indotta a mitigarle da giusti e gravi motivi. Analogamente ella non ignora, né sconfessa che il Sacramento del matrimonio, essendo indirizzato anche alla conservazione e all’incremento dell’umana società, ha una stretta relazione con le stesse cose umane, le quali derivano bensì dal matrimonio, ma appartengono all’ordine civile, e sulle quali, a ragione, giudicano e dispongono i reggitori dello Stato.
Nessuno poi mette in dubbio che il fondatore della Chiesa, Gesù Cristo, volesse che la potestà sacra fosse distinta da quella civile, e che l’una e l’altra avessero, nell’ordine proprio, libero e sciolto l’esercizio del proprio potere, tuttavia alla condizione, che conviene all’una e all’altra e che è vantaggiosa per tutti gli uomini, che intercorressero tra loro unione e concordia, e che nelle cose le quali sono, quantunque per diversa ragione, di comune diritto e competenza, quella cui furono raccomandate le cose umane dipendesse in modo opportuno e conveniente dall’altra, alla quale furono affidate le cose celesti. In siffatto accordo poi, quasi un’armonia, è riposto non solo il benessere dell’una e dell’altra potestà, ma anche il più opportuno e più efficace mezzo di giovare al genere umano in ciò che appartiene al modo di vivere ed alla speranza della salute eterna. Infatti, poiché l’intelletto umano, come Noi dimostrammo nella precedente Enciclica, se si accorda con la fede cristiana diviene molto più nobile ed acquista maggior forza per schivare e combattere gli errori, e vicendevolmente la fede ottiene non piccolo aiuto dalla stessa ragione (Æterni Patris, 4 agosto 1879), così nello stesso modo, ove l’autorità civile proceda in pieno accordo con la sacra potestà della Chiesa, non può non derivarne grande utilità all’una e all’altra. Conseguentemente, a questa viene aggiunta maggiore dignità: ispirandosi alla religione, essa dominerà sempre secondo giustizia; a quella vengono forniti aiuti di tutela e di difesa a comune vantaggio dei fedeli.
Noi dunque, mossi dalla considerazione di tali cose, come altre volte con la maggior cura, così al presente esortiamo di nuovo caldamente i Principi ad unirsi in buon accordo e in amicizia. Ad essi, con paterna benevolenza Noi per primi porgiamo la destra, offrendo loro il soccorso del Nostro supremo potere, il quale è tanto più necessario in questo tempo in quanto l’autorità sovrana nella opinione degli uomini, come per ferite ricevute, è resa più debole. Essendo gli animi già accesi di licenziosa libertà, e rifiutando con empio ardire il dominio di qualsivoglia autorità, anche la più legittima, la salvezza pubblica richiede che le forze dell’una e dell’altra potestà si uniscano al fine di allontanare i danni che sovrastano non solo sulla Chiesa, ma sulla stessa società civile.
Però, mentre consigliamo caldamente l’amichevole unione delle volontà, e supplichiamo Dio, principe della pace, che infonda negli animi di tutti gli uomini l’amore della concordia, non possiamo Noi stessi astenerci, Venerabili Fratelli, dall’eccitare con le esortazioni sempre meglio il Vostro zelo, la Vostra operosità e la vigilanza che sappiamo in Voi essere grandissima. Per quanto si possano estendere i Vostri sforzi, per quanto possa la Vostra autorità, adoperatevi perché presso i popoli affidati alla Vostra fede si mantenga integra ed incorrotta la dottrina che Cristo Signore e gli Apostoli, interpreti dei voleri del cielo, insegnarono, e che la stessa Chiesa cattolica conservò gelosamente, e comandò che fosse custodita dai cristiani in tutti i tempi.
Adoperatevi al massimo che i popoli conoscano in abbondanza i precetti della sapienza cristiana, ed abbiano sempre fisso nella mente che il matrimonio fu dal principio stabilito non per volontà degli uomini, ma per autorità e volere di Dio, e con questa legge: che sia di uno solo con una sola. Cristo poi, autore della nuova Legge, da ufficio di natura lo ha collocato fra i Sacramenti, e per quel che riguarda il vincolo, ne ha dato alla Chiesa il potere legislativo e giudiziario. In questa materia conviene vigilare diligentemente affinché le menti non siano tratte in errore dalle fallaci argomentazioni degli avversari, i quali vorrebbero che fosse tolto alla Chiesa tale potere. Similmente deve essere chiaro a tutti che se tra i cristiani si contrae l’unione dell’uomo e della donna indipendentemente dal Sacramento, essa manca della natura e dell’efficacia del legittimo matrimonio, e quantunque essa sia stata fatta in modo conforme alle leggi dello Stato, tuttavia non può essere considerata più che un rito od un’usanza introdotta dal diritto civile. Inoltre, dal diritto civile non possono essere ordinate e amministrate se non quelle cose che i matrimoni producono nell’ordine civile, e che ovviamente non possono essere prodotte se non ne esiste la vera e legittima causa, cioè il vincolo nuziale.
Certo importa moltissimo che gli sposi conoscano appieno queste cose, le quali debbono essere approvate anche da loro e impresse nei loro animi affinché sia loro consentito in questo caso di uniformarsi alle leggi. La Chiesa non vieta ciò, anzi vuole e desidera che siano completamente salvi gli effetti dei matrimoni, e che non venga cagionato alcun danno ai figli. In tanta confusione poi di giudizi, che vanno crescendo ogni giorno di più, è necessario che sia anche ben conosciuto che lo sciogliere il vincolo del connubio rato e consumato tra cristiani, non è in facoltà di nessuno, e che conseguentemente sono rei di manifesto delitto quei coniugi – se per avventura ve ne fossero alcuni – i quali per qualunque motivo addotto vogliano stringersi in un nuovo vincolo matrimoniale innanzi che per morte resti sciolto il primo. Se le cose giungessero a tal punto che il convivere insieme non sembri più a lungo sopportabile, allora la Chiesa permette che l’uno conduca i suoi giorni separato dall’altro, e cerca con cure e rimedi, da apprestarsi secondo la condizione dei coniugi, di alleggerire i danni della separazione, né avviene mai che ella non s’adoperi o che disperi di ridurre gli animi alla concordia. Questi, per altro, sono i partiti estremi ai quali sarebbe facile non addivenire se gli sposi, non trasportati dalla passione, ma riflettendo in precedenza sia i doveri dei coniugi, sia i motivi nobilissimi dei connubi, si accostassero al matrimonio con ponderata intenzione e non anticipassero le nozze con una serie continuata di turpitudini, sotto lo sdegno di Dio. Per concludere, allora i matrimoni potranno avere una dolce e sicura stabilità, quando attingano lo spirito e la vita dalla virtù della religione, la quale dà grazia d’animo forte ed invitto; e fa sì che si sopportino non solo con rassegnazione, ma con lieto animo, i difetti che possono avere le persone, la diversità dei costumi e delle indoli, il peso delle cure materne, la grave sollecitudine dell’educazione dei figli, i travagli, compagni della vita.
Di un’altra cosa si deve ancora avere cura, che cioè non si desiderino con facilità le nozze con persone che non appartengono alla Chiesa cattolica. Infatti si possono nutrire poche speranze che gli animi dissidenti in materia religiosa riescano ad andare d’accordo nel resto. Anzi, che si debba rifuggire da siffatti connubi, si comprende soprattutto per il fatto che essi porgono occasione alla vietata comunanza e partecipazione delle cose sacre, mettono a rischio la religione del coniuge cattolico, sono d’impedimento alla buona istruzione della prole, e troppo spesso inducono gli animi ad assuefarsi a tenere in pari stima tutte le religioni, eliminando ogni differenza tra il vero ed il falso. Infine, ben sapendo che alla Nostra carità nessuno deve rimanere estraneo, raccomandiamo all’autorità, alla tutela e alla pietà Vostra, Venerabili Fratelli, coloro, veramente molto miseri, i quali trascinati dall’ardore delle passioni ed assolutamente dimentichi della propria salute, conducono una vita licenziosa, congiunti in vincolo di nozze non legittime. A richiamare a dovere tali uomini sia rivolta la Vostra sagace solerzia; Voi stessi, direttamente o mediante l’opera di persone dabbene, cercate in tutti i modi che essi sentano di avere operato scandalosamente, si pentano di tanta vergogna e s’inducano a celebrare le vere nozze secondo il rito cattolico.
Voi vedete facilmente, Venerabili Fratelli, che questi ammaestramenti e precetti intorno al matrimonio cristiano, che con questa Nostra lettera ritenemmo doveroso comunicarVi, sono di grande utilità non solo per la conservazione della civile comunanza, ma anche per l’eterna salute degli uomini. Voglia dunque Iddio che, quanto più essi hanno d’importanza e di autorità, tanto più trovino in ogni parte animi docili e pronti ad obbedire. Per la qual cosa, con supplici ed umili preghiere tutti uniti imploriamo l’aiuto della Beata Maria Vergine Immacolata che, rafforzate le menti alla obbedienza della fede, si mostri madre e soccorritrice degli uomini. Né con minore calore supplichiamo i Principi degli Apostoli Pietro e Paolo, vincitori della superstizione, seminatori della verità, affinché proteggano con il più costante patrocinio il genere umano insidiato dall’inondazione dei rinascenti errori.
Intanto, auspice dei celesti favori e testimonio della singolare Nostra benevolenza, a Voi tutti, Venerabili Fratelli, ed ai popoli affidati alla Vostra vigilanza, impartiamo di cuore l’Apostolica Benedizione.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 10 febbraio 1880, anno secondo del Nostro Pontificato.